venerdì 10 giugno 2016

Tu, tu ed, infine, tu

Tu, il mio primo amore, il primo amore dettato dall'ignoranza e dall'emozione della scoperta di un nuovo sentimento. Un sentimento fino ad allora estraneo, misterioso e potente, molto potente. Tu, che hai smosso le mie fondamenta, che mi hai fatto affacciare nel magico giardino dell'amore, che mi ci hai spinto con prepotenza. Tu, che sapevi come fosse quel mondo, mi hai tenuto per mano solamente i primi tempi, per poi lasciarmi andare e guardarmi impacciato commettere un errore dopo l'altro. Tu che dall'alto del tuo egoismo e della tua presunzione, hai incrinato quella magia. Una doccia fredda, un fulmine a ciel sereno. I maghi non esistono, le favole neppure. Sono uscito da quel giardino, ma sono rimasto comunque a passeggiare nei paraggi.

Tu, che sei comparsa all'improvviso e mi hai convinto di nuovo ad entrare in questo bizzarro giardino dell'amore. Questa volta i piedi erano ben saldi al terreno, benché qualche passo falso l'abbia fatto: paradossalmente la mia razionalità mi ha portato a sbagliare. Perché si sa, non v'è ragione alcuna in amore. Ma non bisogna confondere la ragione con la maturità, cosa in cui peccavi. Questo ha portato me a peccare di superbia, credendo di poter tenere salda una coppia con questa grande disparità, con questo grande handicap. Alla fine ci siamo spezzati in malo modo, grazie al tuo doppiogioco. Grazie a te ho potuto assaggiare la punta dell'iceberg del male che può portare l'amore, così bello e così letale. Sono uscito dal giardino, sbattendomi forte il suo cancello alle spalle.

Ed infine tu. Anche tu sei arrivata all'improvviso. La persona più improbabile di questo mondo. La persona che, malgrado tutto, mi ha fatto tornare la voglia di amare. Ti ho vista, in quel giardino e, pian piano, ci sono tornato dentro. Non riuscivo però a raggiungerti, potevo solo parlarti da lontano. Tentavo, con tutte le mie forze, con ogni mezzo di raggiungerti. Non c'è stato nulla da fare. E fu in quel momento che me ne accorsi: quel giardino era pieno di rose. Belle, dolci e profumate rose, ma anche molto, molto pericolose: ad ogni passo, infatti, mi ferivo con le loro spine. Inizialmente non me ne resi conto, ero come accecato dalla tua luce, dal desiderio di raggiungerti. Poi, col tempo, cominciai a provare del dolore. Non era come il normale dolore, era diverso: più profondo, più cupo, più micidiale. Sentii quel dolore... ma non volli fermarmi. Tu eri più importante. Continuai, continuai imperterrito. Finché un giorno, mi arresi. Stremato e con le ultime forze, uscii da quel giardino di morte. Ero letteralmente a pezzi. Come Icaro, ho voluto volare troppo vicino al sole e ne sono rimasto bruciato. Una cicatrice indelebile che ancora oggi fa male, un male atroce. Forse sto solamente aspettando di rimettermi in sesto e tornare lì dentro a cercarti. O forse aspetto che sia tu a venirmi a prendere.

O ancora, forse desidero solo prendere una tazza di thé e godermi la pace e la tranquillità di quel magico giardino.

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