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domenica 27 dicembre 2015

Pensieri #3

In questo post, vorrei parlare del mio rapporto con l’amore. Fintanto che sono andato a scuola, non mi sono mai interessato all’argomento, preferivo passare le giornate rintanato in casa da solo a giocare oppure a studiare. Vivevo bene, ero felice e spensierato, i vari problemi della vita che mi si paravano davanti non erano nulla e li affrontavo tranquillamente col sorriso sulle labbra. Però c’era questa cosa dell’amore che non capivo. “Perché la gente soffre tanto per amore? Siamo tanti nel mondo, se non ci si trova bene con una persona, basta cercarsene un’altra no? Perché invece c’è gente che non fa altro che cambiare partner? È forse un gioco l’amore?”. Queste e tante altre domande mi facevo, ma che non ebbero nessuna risposta. Allora, erroneamente, pensavo che l’amore fosse una sciocchezzuola, che chi soffriva per amore non ne aveva motivo e avrebbe dovuto smetterla di lamentarsi…. Il Karma ragazzi, il Karma è un gran “’fio de na mignotta” (come diciamo qui a Roma). Ovviamente quelle cose non le dicevo con cattiveria, ma solamente perché ero ignaro di tutto, non avendo mai avuto esperienze amorose e non avendole mai cercate, anche perché in questo campo sono davvero molto selettivo e non scelgo la prima che capita solo perché ha un bel corpo.
Poi è successo. Improvvisamente, casualmente, senza che io cercassi. È stato l’amore a bussare alla mia porte ed io, senza pensarci su, gli ho aperto. Diciamo che ne sono stato travolto, essendo impreparato. Lei sembrava perfetta per me: stessi gusti, quasi stesso carattere, era gentile, bella, intelligente. L’unico neo era la distanza che ci separava (io a Roma e lei a Catania), ma a me questa cosa non pesava affatto: sapevo di poter contare su di lei in qualunque momento, anche a chilometri e chilometri di distanza. Purtroppo però, col passare del tempo, il rapporto si è deteriorato e lei ha mostrato il suo vero carattere egoista e geloso ai limiti del buon senso (colpa anche mia che le permettevo tutto e le davo anche ragione quando aveva palesemente torto… capitemi, era la mia prima esperienza amorosa, non sapevo impormi ed avevo paura che tutto potesse finire). E così ho chiuso tutti i contatti. Dal “volerla sposare” sono passato a “finalmente è finita!”. Due pensieri diametralmente opposti, me ne rendo conto, e mi rendo anche conto che questa mia prima esperienza l’ho vissuta veramente male. 
Mi sono quindi preso un periodo di pausa per stare per conto mio. Ho iniziato a darci dentro nel mondo del cosplay, ho conosciuto altra gente e… è ricapitato. È grazie ai cosplay che ho incontrato la mia seconda ragazza. Questa volta volevo andarci coi piedi di piombo… almeno inizialmente. Il mio problema è che quando qualcuno mi da più attenzioni del dovuto, ecco che comincio a lasciarmi andare. O almeno cominciavo…. ma arriviamoci con ordine. Conosco questa ragazza tramite un gruppo di amici in comune, entrambi appassionati di cosplay, giappone, anime e manga. Lei in quel periodo aveva anche problemi col suo ragazzo dell’epoca ed io, essendo sostanzialmente “buono” (o almeno, lo ero un tempo), le sono stato vicino. E forse era meglio se me facevo li cazzi mia. Ad ogni modo, lei lascia il suo ragazzo e, dopo qualche settimana, si mette con me (questa volta eravamo più vicini, lei di Nettuno ed io di Roma). Il ragazzo ovviamente mi odiava, alcuni suoi amici mi odiavano perché, giustamente, pensarono che fosse colpa mia l’accaduto. Ma a lungo andare hanno capito che io non c’entravo nulla e la situazione si sistemò. Reduce dall’esperienza passata, sono diventato più “esigente” ed “autoritario”: se lei sbagliava, glielo facevo notare. Se continuava a perseverare su quello stesso errore, mi ci incazzavo. Diciamo pure che ero abbastanza un rompicazzo. PERO’, a lei sembrava andare bene così. Mai nessuna lamentela, mai nessuna discussione (a meno che non sia stata spinta dalle sue amiche e questo fa capire quanto non ragionasse con la propria testa). Sembrava andare tutto bene… se non fosse per il fatto che tra l’oggi e il domani, se ne esce con “mi tratti male, mi sono stancata”. E non è tanto per dire. Il giorno prima “non so cosa farti per i due anni XD” (che li avremmo fatti la settimana successiva), ed il giorno dopo quella cosa detta poc’anzi. Venni a sapere successivamente che aveva già un altro e quindi, quando le consigliavo all’epoca del suo precedente ragazzo di parlare con lui, di chiarirsi ecc ecc, lei in realtà non aveva fatto nulla di tutto ciò. Lo ha semplicemente preso in giro, facendo finta di nulla mentre si guardava intorno e cercava di meglio. Questa cosa mi ha fatto molto, molto male. So di non essere perfetto, di avere un’infinità di difetti, ma tradire la mia fiducia facendo tutto alle spalle… questo non l’accetto. Ovviamente chiusi tutti i contatti pure con lei.
Dopo la mia seconda esperienza amorosa durata quasi 2 anni, sono stato male per quasi un anno (ci siamo lasciati a fine gennaio 2011). Tutto mi sembrava sbagliato, soffrivo perché non capivo cosa ci fosse di sbagliato in me, che cosa avessi fatto di male, perché non potevo avere una relazione normale con una ragazza seria che avesse un poco di cervello funzionante. Mi chiusi in me stesso, odiavo il mondo, odiavo l’amore. Finché un giorno, mi alzai dal letto e dissi “BASTA”. Senza un motivo preciso, era come se quella ferita fosse stata rimarginata, se il Tempo avesse finito la sua operazione ed ora la ferita è solamente una cicatrice che mi porto dietro e che non si vede più di tanto.
Ero di nuovo in pista. Ed è qui che il Destino, non ancora sazio di accanirsi contro di me, ha voluto calare la sua carta vincente, il suo asso nella manica. 
È qui che incontrai Lei…. ma questa è un’altra storia.

mercoledì 23 aprile 2014

Divertimento

Era lì, in quel parco, che Eugenio era solito andare. Lui, uomo sulla cinquantina, capello bianco e lungo, folti baffi e barba trasandata. I suoi occhi verdi erano spenti, assenti. Le sue occhiaie facevano notare quanto stanco fosse. Stanco di tutto. E andava lì, Eugenio, in quel parco, per distrarsi e fuggire per un attimo dalla realtà che lo circondava. Si sedeva sempre su quella panchina, storica amica che lo ha accompagnato in numerose avventure: la prima volta che si fece male, il primo bacio, la prima sbronza... Lui si sedeva lì, con il suo giornale che sfogliava raramente, e si guardava intorno. A lui piaceva guardare i bambini mentre giocavano. Capitava a volte che venisse scambiato per un maniaco, importunato anche dalla polizia a causa di alcune segnalazioni. Ovviamente non vi furono mai implicazioni, visto che lui rimaneva semplicemente seduto ad osservare i bambini che giocavano. Lui adorava i bambini, non avrebbe mai fatto loro del male. Avrebbe anche voluto avere una bella famiglia numerosa.
Quel giorno, Eugenio era di nuovo lì, seduto sulla sua panchina, sorseggiando un insipido caffè. E come suo solito, osservava i bambini mentre giocavano. Quei bambini che ridevano spensierati, senza preoccuparsi di nulla. Se cadevano, si rialzavano e continuavano a giocare, se litigavano, facevano la pace subito dopo. L'unico momento in cui erano tristi, era quando dovevano tornare a casa. "Che invidia che mi fanno quei bambini" pensò Eugenio. Si tuffò nei ricordi. Ricordò la sua infanzia, quando anche lui andava a giocare proprio in quel parco. Si ricordò dei bei momenti passati insieme ai suoi amichetti di allora, delle partite a palla avvelenata, delle prime cotte, dei primi litigi. Ed era tutto un divertimento. Quando cadevi e ti facevi male, non stavi zitto: potevi piangere per il dolore, ridere, arrabbiarti, venir preso in giro dagli amici o incoraggiato ad alzarti... ed era tutto un divertimento, perché con un cerotto passava tutto e ricominciavi a giocare! O quando ti dichiaravi, timidamente, alla ragazza che ti piaceva e venivi respinto per l'amichetto più figo. E venivi preso in giro. Si rideva, si rideva eccome. Magari ti vendicavi colpendo la suddetta 'coppietta' appena formata, con la palla mentre si giocava. E tutto ciò era lecito, senza alcun timore o preoccupazione. O ancora, quando litigavi con i tuoi amichetti per delle stupide carte da gioco. Poteva capitare anche di non parlarsi per un giorno intero... ma poi si faceva la pace, scambiandosi qualche gioco o qualche parola carina. E via, di nuovo a giocare tutti insieme. Erano davvero bei tempi.
Eugenio distolse lo sguardo perso nel vuoto e lo puntò dritto verso il cielo. Un cielo cupo e grigio. "Ed ora invece?" pensò. Ora, se cadi e ti fai male, non dici una parola. Se riesci, ti rialzi e prosegui, zitto, senza incoraggiamenti, altrimenti rimani a terra, aspettando un qualche aiuto. Un aiuto che forse non arriverà mai. Ora se provi dei sentimenti e vieni respinto, non ci sono risate, non ci sono scherni, c'è solo un vuoto che rimane. Gli amici lo sanno e tentano di colmare quel vuoto come meglio possono, fallendo però miseramente. Ora se si litiga con qualcuno, è per motivi seri che possono portare all'allontanamento definitivo, al non rivedersi mai più. Che sia per il lavoro, per una ragazza, per soldi.... le amicizie possono rovinarsi con un niente.
"Che senso ha allora crescere?" si domanda Eugenio. "Che senso ha crescere se non c'è più divertimento in ciò che si fa? Se il lavoro non ti porta altro che stress, l'amore non ti porta altro che vuoto, gli sbagli non ti portano altro che dolore. Vorrei tanto ritornare a quei tempi..."

Una palla si adagiò vicino al piede di Eugenio. Un bambino gridò in direzione di lui.

«Hey signore, potrebbe tirarci il pallone!?»

«Perché se ne sta lì a fissare il cielo?» chiese un altro bambino.

Una signora si avvicinò al proprio bambino e disse: «Forza, è ora di tornare a casa»

«Mamma», chiese il bambino, «quel signore si è fatto male? Perché sta piangendo? Possiamo dargli uno dei nostri cerotti?»

La signora guardò Eugenio e, molto pacatamente, disse al bambino: «Purtroppo i nostri cerotti non possono aiutare quel signore. Ha una bua molto profonda. Vieni, torniamo a casa»

I due si allontanarono, con il bambino che non faceva altro che osservare il viso di Eugenio, coperto dalle lacrime, pensando: "Dev'essere proprio brutto crescere".