giovedì 22 agosto 2013

Burn baby burn, till the end

Questa storia è una fanfic basata sul videogioco "Little Inferno"

BURN BABY BURN, TILL THE END

Mike è un tenero ragazzo di 13 anni che vive con i suoi genitori in una piccola città del nord America. Tranquillo, intelligente, gentile, diligente… l’orgoglio di mamma e papà. Non ha caratteristiche fisiche o doti particolari, ma è comunque circondato da amici che gli vogliono bene ed una fidanzatina che lo ama. Le giornate in quella cittadina passano facendo sempre le stesse cose, ma tutto sommato la vita è piacevole e lui è felice. Tranne nel periodo invernale…. Quando arriva l’inverno, la temperatura si abbassa inesorabilmente, rendendo difficile vivere: le strade ed i vetri si ghiacciano rendendo difficile lo spostamento con i mezzi, l’acqua fatica a scorrere nelle tubature, tormente di neve causano incidenti alle abitazioni o alla linea elettrica/telefonica della città, molte persone rischiano l’assideramento, specialmente anziani e bambini, il cibo scarseggia e le fabbriche lavorano a rilento. Un periodo chiamato “Little Inferno” dalla gente del luogo. La situazione peggiorava di anno in anno, dovevano quindi correre ai ripari. Le menti più brillanti della città si riunirono e decisero di fondare una fabbrica, la “Little Inferno Corporation”, finanziata interamente dai cittadini. Essa aveva il compito di trovare una soluzione all'eccessivo freddo che puntualmente ogni inverno colpiva la città. Furono creati progetti, fatti esperimenti, creati prototipi. Per mesi e mesi la fabbrica ha lavorato a pieno regime, specialmente nel periodo estivo, periodo che preannunciava l’arrivo del “Little Inferno”. Finalmente i numerosi sforzi furono ripagati ed il prodotto venne realizzato: la “Fornace Little Inferno” era finalmente realtà. Ma in cosa consisteva? Semplice: una piccola fornace dove inserire dei materiali e vederli prendere fuoco grazie ad una piccola fiammella sempre presente all'interno della fornace stessa. Il materiale inserito (che può essere di qualsiasi entità, dal ferro all'oro alla seta fino a materiale biologico) prende rapidamente fuoco ed il calore sprigionato viene contenuto nella fornace, generando così riscaldamento autonomo per tutta la casa! Per fare un esempio: una banalissima mela può generare riscaldamento sufficiente per dieci minuti. Nemmeno i creatori di questa fornace conoscono i livelli di calore generati dalla combustione di tutti gli oggetti. La gente avrebbe dovuto sperimentare. Visti i copiosi investimenti forniti dalla popolazione, la Fornace Little Inferno fu concessa gratuitamente. In questo modo la cittadina era salva e poteva superare l’inverno senza troppe difficoltà.

«Finalmente è arrivato l’inverno!» disse Mike entusiasta.

«Come mai sei così agitato Mike?» chiese suo padre, comodamente seduto in poltrona e con una pipa in bocca, intento a leggere un giornale. Con il sorriso sulle labbra continuò: «È per via del nuovo ‘giocattolo’ che è andata a prendere la mamma?»

*DLIN DLON*

«ECCOLA È ARRIVATA!»

Mike corse verso la porta d’ingresso. Il padre piegò il giornale e lo poggiò sul tavolino del salone, aspirò una grossa boccata di fumo dalla sua pipa e si alzò, seguendo lentamente il figlio verso l’ingresso. Mike aprì la porta e vide sua madre con in mano una grossa scatola. La scritta riportava “Fornace Little Inferno: riscaldiamo la tua vita con divertimento!”. Sembrava più un gioco da tavolo che un sofisticato elettrodomestico di riscaldamento.

«Oh, finalmente è arrivata! Perché non mi aiuti a montarla Mike?» disse l’uomo rivolgendosi al figlio.

«Sììììììì!» rispose Mike entusiasta.

I due assemblarono ed installarono la fornace nel salone in modo che fungesse anche come elegante camino.

«Ora non ci resta che provarla…. ecco qui della carta», la madre porse a Mike dei fogli di carta.

«Ma…. mamma! Non è divertente così! Perché non proviamo con qualcosa di più resistente? Come.. come..»

«Come questo attizzatoio?», il padre tirò fuori da sotto al divano un attizzatoio in solido ferro.

«Caro, dove hai preso quell’attizzatoio?» chiese incuriosita la moglie.

«L’ho comprato alla fine di quest’estate, quando uscì il comunicato stampa dove vennero divulgati i dettagli della Fornace Little Inferno. Così possiamo testare le reali capacità della macchina». L’uomo porse l’attizzatoio a Mike che intanto aveva acceso la macchina. Al centro di essa vi era una piccola fiammella di un colore blu acceso. Il ragazzo avvicinò la punta dell’oggetto alla fiamma e…. dopo pochi secondi prese fuoco!

«È incredibile….» esclamò il padre di Mike.

«Sbalorditivo…» disse la madre.

Mike invece non disse nulla. Continuò ad osservare quel piccolo pezzo di metallo che pian piano prendeva fuoco.

«MIKE PRESTO! BUTTALO NELLA FORNACE!». Il padre gli urlò contro, ma il ragazzo era come ipnotizzato ed il fuoco stava raggiungendo il suo braccio. Con un movimento deciso allora, l’uomo tolse dalle mani del ragazzo l’attizzatoio e lo gettò nella fornace, osservando come il fuoco pian piano lo consumava, lasciando solamente della cenere.

«Che ti ha preso Mike? Stavi per ustionarti il braccio!» lo rimproverò l’uomo.

«Sc…scusa papà… mi sono distratto» disse mortificato il ragazzo.

«Devi stare più attento la prossima volta Mike» sentenziò sua madre.

«Sentite…. che… che…. CHE BEL TEPORE!» esclamò l’uomo sentendo che la temperatura stava lentamente aumentando in tutta la casa.

«Finalmente passeremo un inverno come si deve! Non dovremmo più coprirci con strati e strati di cappotti, non dovremmo più lottare per non morire congelati… mi sembra un sogno…» la donna cominciò a versare qualche lacrima di gioia.

Mike si mise seduto davanti alla fornace, osservando la piccola fiammella blu. La cenere venne raccolta automaticamente dalla macchina ed espulsa grazie ad un sistema di “scarico”. «Mamma… mi passeresti un foglio di carta per favore?» chiese il ragazzo a sua madre, ma senza distogliere lo sguardo dalla fornace. La madre gli passò i fogli che voleva dargli prima e lui, uno per uno, li mise nella fornace, vedendoli bruciare uno dopo l’altro. La vista delle fiamme… del consumarsi degli oggetti ed infine della cenere che si deposita alla base della fornace… quella scena a Mike piaceva. Piaceva veramente tanto! Ed ogni volta che la fornace scaricava la cenere, un alone di tristezza sovrastava il ragazzo. «Uff sono già finiti…. Mamma, hai dell’altra carta?» chiese Mike sempre senza distogliere lo sguardo.

«Mi dispiace tesoro, ma non ne ho più. Domani ne andrò a comprare ancora e.. »

«MA A ME SERVE ADESSO!», era la prima volta che Mike alzava la voce, per di più contro sua madre.

Il padre si avvicinò al ragazzo e lo rimproverò pesantemente, mandandolo a letto senza cena. Mike si scusò con la madre ed andò in camera sua con la testa chinata per il dispiacere.

«Caro, sei sicuro che sia una buona idea mandarlo a letto senza cena? L’inverno è praticamente arrivato e…»

«Non ti preoccupare, non fa ancora così freddo e poi abbiamo la Fornace Little Inferno! Per questa notte dovremmo avere riscaldamento a sufficienza. Domani dovremmo andare a far scorta di tutto ciò che potrebbe servirci: passeremo l’inverno a carbonizzare di tutto, ahah!»

Quella notte, Mike non riuscì a chiudere occhio. Nella sua testa vedeva sempre la stessa sequenza di immagini: gli oggetti che venivano messi sulla fiammella della fornace, gli stessi che prendevano fuoco, le fiamme che si sviluppavano per poi morire ed, infine, la cenere che si depositava sulla base della fornace. Quella sequenza lo accompagnò per tutta la notte, facendolo esaltare come non mai. Solitamente era un ragazzo tranquillo e niente era mai riuscito a farlo emozionare come quella piccola fornace. Doveva bruciare altra roba… doveva rivedere ancora quello spettacolo…. Ancora e ancora e ancora….

Giunse finalmente il mattino ed il primo freddo invernale si stava facendo sentire. Mike era riuscito infine ad addormentarsi, i suoi genitori quindi lo lasciarono dormire. Al loro rientro, il ragazzo trovò diversi scatoloni ammassati nello sgabuzzino.

«Ah finalmente ti sei svegliato! Hai visto quegli scatoloni?» domandò la madre vedendo Mike sopraggiungere nel salone.

«S.. sì… cosa sono?» chiese il ragazzo ancora intontito dal sonno.

«Quegli scatoloni contengono tutta la roba da bruciare durante questo inverno. Ce n’è veramente tantissima! Perché non ne utilizzi subito qualcuna? Sta cominciando a fare freddo» disse sorridendo il padre.

Mike non se lo fece ripetere due volte e si fiondò nello sgabuzzino. Negli scatoloni c’era ogni genere di cosa: dai giocattoli a degli attrezzi da lavoro, dalle stoffe a dei pezzi di metallo di vario genere e tipo, c’era perfino della spazzatura. “Direi di cominciare dai rifiuti” pensò Mike. Il ragazzo portò in salone uno scatolone contenente tutti rifiuti: pezzi di cibarie, vestiti logori, giocattoli rotti, elettrodomestici oramai consumati, barattoli vuoti ed unti, bottiglie di vetro e di plastica… insomma, un vero letamaio. Arrivato nel salone, Mike cominciò a buttare nella fornace tutto ciò che gli capitava di prendere dallo scatolone: prima prese una bottiglia di vetro, poi un orsacchiotto di peluche senza un braccio, poi ancora un paio di jeans. La fiamma era viva più che mai all'interno della fornace, illuminando l’ambiente circostante e generando calore in uno spettacolo magnifico. Le fiamme danzavano in maniera quasi ipnotica, proiettando inquietanti ombre per tutta la stanza. Improvvisamente Mike estrasse dallo scatolone una bottiglia di plastica che conteneva ancora del latte. Ma lui non se ne accorse e buttò l’oggetto nella fornace.

«MIKE CHE COSA FAI?! NON TI SEI ACCORTO CHE QUELLA BOTTIGLIA CONTENESSE ANCORA DEL LIQUIDO?» Il padre andò su tutte le furie: se la prima Fornace Little Inferno era gratuita, le successive, in caso di guasto della prima, dovevano essere regolarmente acquistate ed il costo era tutt'altro che irrisorio. Ma accadde qualcosa di strepitoso: il fuoco… stava bruciando il latte! Il liquido cominciò a bruciare lentamente… per poi divenire cenere.

«Co…com'è possibile tutto ciò? Cosa diavolo è quella fiammella?» si domandò l’uomo preoccupato.

«Caro, forse è un aggeggio pericoloso? Forse dovremmo riportarlo indietro?» la donna era ancora più preoccupata del marito.

«No… la fornace resta dov'è… è totalmente sicura… queste sono solamente delle misure di sicurezza nel caso qualcuno versi inavvertitamente del liquido nella fornace… va tutto bene….» Mike continuava a vedere il fuoco e a buttare roba nella fornace, quasi fosse ipnotizzato. Quando lo scatolone fosse completamente vuoto, buttò anch'esso nel fuoco.

«Mike…. va tutto bene figliolo?» chiese il padre al ragazzo.

«Sì papà… va tutto a meraviglia…»

L’uomo si avvicinò alla moglie e le sussurrò all'orecchio: «Io vado a chiedere spiegazioni alla ditta di fabbricazione di quei cosi… tu tieni d’occhio nostro figlio. Se fa qualcosa di strano, cerca di fermarlo». Detto ciò, l’uomo prese il suo pesantissimo cappotto ed uscì di casa. Mike si alzò e si diresse verso lo sgabuzzino.

«Dove stai andando tesoro?» chiese la madre preoccupata.

«Vado a prendere un altro scatolone mamma, per bruciare altra roba»

«N-non credi che possa bastare? Ne hai bruciata così tanta, abbiamo riscaldamento a sufficienza»

«No mamma, non è abbastanza. Bisogna bruciare ancora e ancora e ancora…»

Il ragazzo stava per dirigersi verso gli scatoloni, ma la madre lo prese per un braccio. Mike guardò la donna e poi la mano che aveva usato per fermarlo ed esclamò: «Bella quella fede mamma…. secondo te quanto tempo impiegherà per bruciare?»

«Che.. che cosa stai dicendo?»

Il ragazzo non rispose: afferrò la madre con entrambe le braccia e la trascinò verso la fornace. La donna cercò di liberarsi dimenandosi ed urlando, ma fu tutto inutile: Mike era incredibilmente più forte. Quando fu davanti alla fornace, anziché togliere la fede e buttarcela dentro, mise direttamente la mano della madre all'interno, la quale cominciò immediatamente a bruciare. L’urlo di dolore della donna risuonò in tutto l’appartamento. Alla vista del fuoco, Mike allentò la presa. La donna poté così ritirare il braccio, ma oramai la mano era coperta dalle fiamme. Provò a spegnerle ma senza successo. Alla fine le fiamme si spensero da sole, lasciando cadere della cenere sul pavimento. La donna era in preda al terrore: la perdita della mano destra l’aveva scioccata.

«Cosa dirà il papà vedendoti in quello stato? Non possiamo lasciarti così… e poi il fuoco che hai generato era così bello mamma….», Mike si avvicinò pericolosamente a sua madre.

Dopo un paio di ore, il padre del ragazzo tornò a casa e vide Mike davanti alla fornace intento a bruciare altra roba presa dai soliti scatoloni.

«Dov'è la mamma?» chiese l’uomo.

«È uscita, doveva fare delle commissioni»

«Le avevo detto di rimanere a casa a controllarti… che testarda. Noi due dobbiamo fare un discorsetto, appendo il cappotto e sono subito da te»

Mike continuava ad osservare il fuoco.

«Senti Mike, devo parlar… che ci fa qui una scarpa di tua madre?», l’uomo notò poco distante dalla fornace una delle scarpe indossate dalla moglie prima che lui uscisse di casa. C’era anche della cenere sparsa lì vicino. «Sai spiegarmi perché questa scarpa si trovi qui? E cos'è questa cenere?», l’uomo indicò l’oggetto sul pavimento.

«Ah ecco, si era salvato un pezzo», Mike prese la scarpa e la buttò nella fornace.

«Ma che stai facendo!? E dov'è la mamma!?» l’uomo si stava seriamente preoccupando.

Mike estrasse dallo scatolone una chiave inglese: «Vedi papà… la mamma non voleva che bruciassi altra roba… così… è diventata parte della roba da bruciare»

«Cos…», la chiave inglese colpì alla testa l’uomo che non riuscì ad evitarla: Mike fu così rapido da lasciarlo spiazzato.

«Ed ora anche tu farai parte di questo magnifico spettacolo, papà!». Il ragazzo cominciò a trascinare il corpo dell’uomo verso la fornace…

Passarono un paio di giorni. Mike passava tutto il tempo a bruciare cose nella fornace. Non aveva più alcun  contatto con nessuno: non aveva più un pc, altra vittima della fornace ed il cellulare lo teneva per la maggior parte del tempo spento, per non essere disturbato dagli amici e dalla ragazza che lo tartassavano di chiamate e messaggi. Aveva bruciato quasi tutti gli scatoloni e la roba della casa, restava solo uno scatolone di attrezzi ed i grandi mobili della casa: librerie, armadi, scaffali, mensole, letti… Con gli attrezzi dell’ultimo scatolone decise quindi di smontare tutti i mobili per farne “legna da ardere”. In un altro paio di giorni, tutti i mobili della casa divennero cenere così come gli attrezzi stessi. Era rimasto completamente solo, senza più roba da bruciare. L’ultima cosa che bruciò fu il suo cellulare…. Improvvisamente si sentì bussare alla porta. Mike trovò la forza per andare ad aprire: era la sua ragazza.

«Mike! Allora stai bene!» gli si buttò al collo e lo abbracciò con passione: «Perché non mi hai aperto subito? Ho suonato quattro o cinque volte al campanello»

«L’ho buttato, era rotto. Devo sostituirlo»

«Ed i tuoi dove sono?»

«Sono partiti per un viaggio, io son voluto rimanere qui»

«Come mai non rispondi ai miei messaggi? Alle mie mail?»

«Il pc è dal tecnico per un problema, mentre il cellulare mi è caduto e si è rotto». I due erano nel salone e Mike stava dando le spalle alla sua ragazza, non guardandola negli occhi.

«Mike… c’è forse qualche problema? Perché non mi guardi? Che cos’hai? Dimmelo avanti… posso aiutarti in qualche modo?»

Il ragazzo si girò di scatto e diede un fortissimo pugno in faccia alla ragazza che cadde rovinosamente a terra e perse i sensi.

«Certo che puoi aiutarmi amore… brucia di passione per me!». Pian piano Mike bruciò anche la sua ragazza.

«Oh mio dolce e magnifico fuoco… perché il tuo spettacolo dura sempre così poco? Non ho più nient’altro per poterti vedere… nient’altro… tranne….». Mike si guardò le mani e poi guardò la piccola fiammella blu. Pian piano avvicinò la sua mano verso la fiammella. Sentiva il calore crescere, ma non voleva ritirare la mano. Toccò la fiamma blu e… la sua mano cominciò a prendere fuoco. Mike gridò, ma non era un grido di dolore quanto di piacere. Ora anche lui faceva parte di quel meraviglio spettacolo. “Non ne faccio solamente parte…. IO SONO IL PROTAGONISTA!”, pensò. Si buttò nella fornace, venendo divorato tra le fiamme. Pochi secondi e tutto ciò che rimase fu un mucchio di cenere. Cosa che la Fornace Little Inferno provvide subito a “scaricare”.

giovedì 8 agosto 2013

Piccola nota sull'Istituto Nashira

"L’Istituto Nashira" sarà una storia disturbante, malata, cattiva e violenta. Perché sì. Astenersi perbenisti e deboli di cuore. Io vi ho avvertito. Il prologo non è niente di che, ma la storia deve ancora svilupparsi. Più andrà avanti e più diventerà pesante.

L'Istituto Nashira - prologo



Hiroshi Tanaka, studente appena trasferitosi nell'illustre istituto Nashira. Quest'anno avrebbe frequentato l'ultimo anno del liceo e si sarebbe diplomato, riuscendo a realizzare il suo sogno di iscriversi all'università di Tokyo e di diventare un famoso magistrato. Hiroshi quel giorno si alzò di buon'ora, fece un'abbondante colazione, prese i suoi bagagli e salutò i suoi zii.

«Zio Isei, zia Ruriko, grazie per esservi presi cura di me in questi mesi. Intendo dopo l'accaduto....», Hiroshi si fece silenzioso.

«Non devi preoccuparti Hiroshi caro, è stato un vero piacere. Ora non pensarci e raggiungi pure l'istituto che sarà la tua nuova casa d'ora in avanti.... beh, almeno per quest'anno» disse cordialmente zia Ruriko.

«Sicuro che non ti serva un passaggio? Posso accompagnarti con la macchina fino all'istituto», zio Isei era sempre così premuroso.

«Non serve, ti ringrazio zio. Avete fatto abbastanza per me, è ora che tolga il disturbo e me la cavi da solo. Non appena mi diplomerò, tornerò a salutarvi, promesso!». Il ragazzo si chinò in segno di saluto e i due zii fecero lo stesso. Dopodiché si incamminò con un pesante zaino sulle spalle ed un trolley. Era abbastanza agitato per tutto quei cambiamenti. Si toccò la fronte: la benda era ancora ben salda. Nella sua mente tornarono vivi i ricordi dell'incidente e della sua permanenza in ospedale... Scosse la testa per allontanare quei ricordi dolorosi e si concentrò sul suo presente, sulla sua nuova avventura in questa nuova scuola: nuovi compagni, nuovi professori, nuove esperienze. "Spero che ci siano delle ragazze carine" pensò lui facendo dei pensieri sconci.

«Ecco l'istituto!» disse il ragazzo pieno di entusiasmo. L'ingresso era deserto. "Beh, visto che sono l'unico nuovo e che tutti gli altri già abitano all'interno dell'istituto, è normale che non ci sia nessuno all'ingresso". Hiroshi non sapeva a chi chiedere informazioni. Si stava guardando intorno, quando ecco spuntare un gruppo di studenti in tenuta da ginnastica intenti a correre nel cortile. Un uomo muscoloso li incitava a non battere la fiacca. Il ragazzo si avvicinò verso l'uomo e chiese informazioni: «Buongiorno, il mio nome è Hiroshi Tanaka e sono un nuovo studente dell'istituto Nashira. Potrebbe indicarmi dove si trova la presidenza?»

«Ah tu sei quello nuovo! Piacere di conoscerti, io sono Jin Mori, insegnante di educazione fisica» rispose l'uomo dall'alto della sua imponenza. Era molto alto e muscoloso, caso abbastanza raro per un giapponese. Aveva dei capelli corti a spazzola biondi, un sopracciglio spezzato e due grandi occhi verdi. Indossava una canottiera blu e dei pantaloncini corti neri che esaltavano la sua muscolatura I due continuarono a parlare e mentre Jin indicava come raggiungere la presidenza a Hiroshi, gli studenti smisero di correre per riprendere fiato. Un gruppetto di ragazzi cominciò a parlottare tra loro.

«Chi sarà quel tizio?»

«Magari è un nuovo studente»

«Secondo voi... cosa avrà fatto?»

«Mah, chi può dirlo... a me sembra un sempliciotto»

«E se fosse uno schizzato? O magari è autistico come te Iwao»

«SMETTILA DI DIRE CHE SONO AUTISTICO! SONO SOLO PIU' INTELLIGENTE DI VOI E BASTA!»

«Certo certo... comunque spero che sia nella nostra classe.... vorrei proprio vedere la reazione di Kojiro»

«Ci sarà sicuramente da ridere. E da ripulire dopo...»

«No, vi prego, state calmi! Oggi è il mio turno per le pulizie, non combinate macelli»

«Ben detto, sarà un vero e proprio macello!»

Hiroshi ringraziò con un piccolo inchino e si diresse verso l'ingresso. Incrociò con lo sguardo il gruppo di ragazzi che lo fissarono con indifferenza.

«HEY VOI! NON VI HO DETTO DI FERMARVI! CONTINUATE A CORRERE SE NON VOLETE PASSARE GUAI!» disse adirato l'insegnante.

Dopo la lezione di educazione fisica, i ragazzi tornarono in classe, 3° anno, sezione D. Ad attenderli c'era il preside con accanto il ragazzo di prima. Gli studenti rimasero inizialmente interdetti, poi si diressero verso i loro rispettivi posti a sedere.

«Ragazzi, da oggi avrete un nuovo compagno di classe! Il suo nome è Hiroshi Tanaka e frequenterà il nostro istituto. Siccome l'anno scolastico è iniziato già da una settimana, mi aspetto che sarete tutti gentili e disponibili nell'aiutarlo a mettersi in paro con il programma. Ora vi lascio che ho delle faccende importanti da sbrigare. Avete ancora 10 minuti prima della fine dell'ora, utilizzate questo tempo per conoscervi meglio. Li affido a lei, Mori-san, stia attento che non combinino guai. Sarebbe un peccato dover perdere subito un nuovo arrivato». Detto questo, il preside uscì dall'aula abbastanza di fretta.

"Chissà dove deve andare con tanta urgenza" pensò Hiroshi.

«Da dove vieni?» chiese un ragazzo.

«Vengo dall'Hokkaido»

«E che ci fai qui a Shimoda!? È praticamente dalla parte opposta!» disse un altro ragazzo.

«Un tempo vivevo con i miei... poi però abbiamo avuto un incidente e loro sono morti. Dopo alcuni mesi passati in ospedale, sono stato costretto a trasferirmi qui dai miei zii, gli unici parenti che mi sono rimasti»

«Sicuro che si sia trattato di un incidente?» disse sospettosa una ragazza.

«...che vuoi dire?» chiese indispettito Hiroshi.

«Voglio dire... che se sei qui, qualcosa devi aver pur fatto»

«Perché dovrei aver fatto qualcosa?», Hiroshi non riusciva a capire dove volesse arrivare quella ragazza.

«..19... 20... 21....diciannove..... venti.... ventuno.... DICIANNOVE, VENTI E VENTUNO! SIAMO IN VENTUNO! VENTUNO, CAPITE?! E TUTTO PER COLPA SUA» un ragazzo si alzò in piedi di scatto e puntò un dito contro Hiroshi.

«Ed ecco che Kojiro sbrocca... godiamoci pure lo spettacolo» disse una ragazza.

Il ragazzo di nome Kojiro scostò con violenza la sedia su cui era seduto e si avvicinò a rapido passo verso Hiroshi, con gli occhi pieni di rabbia. Con una mano gli afferrò il collo mentre l'altra l'agitava con il pugno chiuso: «ALLORA, LO SAI COSA HAI FATTO? CI HAI FATTO DIVENTARE UNA CLASSE DI VENTUNO PERSONE! PRIMA ERAVAMO IN VENTI, UN BELLISSIMO NUMERO. ORA SIAMO IN VENTUNO! TE NE DEVI ANDARE ED ALLA SVELTA SE NON VUOI FINIRE MALE! HAI CAPITO!??!»

«Ch...che diavolo stai... stai dicendo?». Hiroshi parlava a fatica.

«BASTA COSI', ADESSO SMETTILA!», il professore di educazione fisica separò i due ragazzi e Hiroshi poté così riprendere fiato.

«SE NON TE NE VAI IMMEDIATAMENTE, IO TI AMMAZZO, HAI CAPITO? TI AMMAZZO!!!» continuava ad urlare Kojiro.

«Adesso calmati Kojiro. La prossima sarà l'ora di storia ed avremmo Fujiwara sensei.... potrai sfogarti come e quanto vuoi». Un ragazzo dal fondo dell'aula riuscì a far calmare Kojiro.

«... già, hai ragione. Preparati novellino, oggi sarà il tuo primo ed ultimo giorno di scuola, te lo garantisco». Dopo aver puntato nuovamente il dito contro Hiroshi ed avergli lanciato un'occhiata minacciosa, Kojiro tornò a sedere al suo posto.

"Ma dove sono capitato? Che razza di posto è questo?!"

martedì 6 agosto 2013

La voce di un triste ricordo

Jack è un bambino di 10 anni dal capello corto e biondo, occhi azzurri ed un grazioso naso a patata, costellato da lentiggini su tutto il viso. Pieno di vita e voglia di fare, adora giocare, correre, saltare... un vero terremoto! È veramente difficile tenerlo a bada quando qualcosa lo colpisce in particolar modo, come del resto la maggior parte dei bambini della sua età. Ma a differenza loro, Jack non ha paura: per lui fantasmi, demoni, diavoli non rappresentano una minaccia o un qualcosa di cui aver pausa, anzi lo incuriosiscono. È per questo motivo che quando Jack cominciò ad udire una voce proveniente dalla mansarda al terzo piano della sua piccola villetta non ebbe alcuna paura.

«Jack.... Jack.... vieni a giocare con me...» diceva quella voce, insistentemente.

«Chi sei?» domandò curiosamente Jack. Il fatto che una voce sconosciuta lo chiamasse nel bel mezzo della notte non lo preoccupava affatto.

«Sono una bambina tanto sola Jack... ho bisogno di un amico.... un amico con cui giocare.... Vieni qui Jack, vieni nella mansarda», disse la voce ricolma di tristezza.

«Non posso, non ho il permesso di andare nella mansarda... mio papà poi la tiene chiusa a chiave», rispose scoraggiato il piccolo Jack.

«Non ti preoccupare... è aperto. Vieni Jack, vieni qui da me»

Jack, incuriosito dall'insistenza di quella voce, scese dal letto e, lentamente e senza far rumore, si diresse verso la mansarda. La sua cameretta era proprio vicino alla camera dei suoi genitori. In punta di piedi, il piccolo bambino avanzò pian piano, fino a raggiungere le scale che portavano al terzo piano e quindi alla mansarda.

«Vieni Jack.... fai presto.... Non vedo l'ora di conoscerti e di diventare amici!»

Il piccolo, preso dall'eccitazione, fece le scale tutto di corsa ed arrivò davanti alla porta della mansarda.

«Coraggio Jack.... apri la porta...» disse ansiosamente la voce.

Jack afferrò la maniglia, la girò e spinse pian piano. La porta si stava lentamente aprendo. Dentro la stanza, riuscì ad intravedere una misteriosa figura nera, con lunghi capelli neri che le coprivano parzialmente il viso.

«CHI C'È?»

La voce di sua madre proveniente dal piano di sotto fece spaventare Jack che chiuse di scatto la porta e scese velocemente le scale, ritrovandosi davanti la madre con una mazza da baseball in mano.

«JACK! COSA CI FAI QUI? ERI TU AD AVER FATTO QUEL RUMORE PER LE SCALE ALLORA?», la donna era sollevata. La preoccupazione si trasformò subito in rabbia.

«Sì, scusa mamma... ho fatto uno strano sogno e non so come mi sono ritrovato davanti la porta della mansarda che era stranamente aperta!» rispose Jack inizialmente timoroso, ma lasciatosi poi prendere dall'entusiasmo.

«Ed uno strano sogno ti ha fatto salire delle scale? Forse è il caso di prendere appuntamento con un dottore.... Ora fila a nanna che è tardi», rispose preoccupata la donna.

«Va bene... buonanotte mamma!»

«Buonanotte Jack». La donna diede un bacio sulla fronte al proprio figlio e si assicurò che entrasse in camera sua. Insospettita da ciò che aveva detto Jack, salì le scale per controllare la porta della mansarda. Chiusa, come sempre.

La notte seguente....

«Jaaaaack.... Jaaaaaaack...», di nuovo quella voce, ancora più insistente del solito.

Il piccolo Jack si svegliò con difficoltà e, sbadigliando, disse: «Sei ancora tu?»

«Sì Jack, sono ancora io.... sono qui in mansarda che ti sto aspettando. Questa volta cerca di non fare rumore e svegliare così i tuoi genitori. Dai sbrigati! Ho qui un regalo per te...»

Al solo udire la parola 'regalo', Jack si svegliò completamente e scese dal letto. Sempre in punta di piedi percorse il corridoio e le scale fino ad arrivare alla porta della mansarda. Anche questa volta, la porta era aperta. Era la prima volta che Jack entrava in quella stanza: c'era una grossa TV al plasma, una libreria maestosa, un tavolo di vetro con delle sedie, un divano di pelle molto confortevole, uno scaffale con svariati DVD, delle enormi casse per il dolby surround, un mini frigo e dei baulei. Vicino alla TV c'era questo essere di forma umana. Sembrava una bambina, vista anche la sua statura. Era però incredibilmente magra. I capelli le coprivano il viso, lasciando intravedere solamente la parte destra. Il suo occhio con la pupilla completamente nera, dava un senso di inquietudine e tristezza.

«Finalmente... eccoti qua Jack! Io sono Amy, piacere di conoscerti» disse la bambina facendo trasparire un sorriso. Il suo sguardo però, nascondeva tanta tristezza.

«Ciao Amy! Il piacere è tutto mio! Allora, dov'è questo regalo?» disse ansioso Jack.

«Vedo che arrivi subito al punto... ecco qua, tieni». La bambina tirò fuori un pallone da calcio.

«FOOOOOOOORTE!» esclamò Jack dalla felicità.

«So che ti piace il calcio. Perché non facciamo qualche passaggio, ti va?»

«Ma tu sei una femmina, non puoi giocare a calcio!»

«Ah è così che la pensi? Non mi sottovalutare sai!» disse ridendo Amy. Prese la palla e sferrò un violento tiro che colpì lo scaffale dei DVD, facendone cadere molti e provocando un forte rumore. Subito dopo si udì un rumore di passi rapidi e pesanti provenire dal piano di sotto. In pochi secondi comparvero i genitori di Jack davanti alla porta della mansarda.

«JACK! CHE CI FAI TU QUI? CHE DIAVOLO STAI COMBINANDO?» urlò furiosa la madre.

«Come hai fatto ad entrare qui dentro Jack?» domandò il padre visibilmente alterato.

«Non... non è stata colpa mia! È stata lei!»

«LEI CHI?» continuò ad urlare la madre.

«AMY! È stata la mia amica Amy a lanciare il pallone verso i DVD, io non c'entro... lo giuro!» il bambino cercò di difendersi. Nell'udire quel nome, i genitori di Jack si guardarono bisbigliandosi qualcosa, dopodiché rimproverarono Jack e lo riportarono a dormire. Il padre del bambino si assicurò che la porta fosse ben chiusa prima di tornare giù.

Il giorno seguente, Jack fu portato da un particolare dottore specializzato in casi come questo.

«E così tu sei Jack! Mi hanno detto che hai un'amica immaginaria di nome Amy» disse il dottore rivolgendosi al bambino.

«Lei non è immaginaria, lei è una persona in carne ed ossa! Beh, non molto in carne visto che è magrissima... però esiste! Mi ha regalato un pallone e voleva fare qualche passaggio con me. Però una femmina non può giocare a calcio, allora si è arrabbiata e ha tirato la palla contro lo scaffale dei DVD. Non sono stato io, lo giuro!» si difese Jack.

«Capisco... ed ora dove si trova questa Amy?» chiese il dottore.

«Non lo so, solitamente mi chiama la notte chiedendomi di raggiungerla in mansarda. Ed ogni volta che ci vado, trovo la porta della mansarda aperta, non più chiusa a chiave!» rispose Jack.

«Questo non è possibile, tuo padre si assicura sempre che la porta sia ben chiusa a chiave!» disse stizzita la madre di Jack.

«Ma mamma è vero!» replicò il piccolo.

«Ora basta! Non so come tu abbia fatto, ma ti proibisco di entrare ancora una volta lì dentro!»

«Si calmi signora, non è il caso di agitarsi. Il bambino dice di sentire queste voci solo di notte, probabilmente ha un qualche disturbo del sonno. Le prescriverò dei sonniferi così da farlo dormire beatamente senza problemi» disse il dottore. La donna ringraziò e se ne andò, portandosi dietro il bambino.

Quella notte...

«Jaaaaaack... svegliati.... vieni a giocare con me qui in mansarda...»

Jack pian piano si svegliò e le rispose ancora sonnecchiando: «Amy... dopo l'ultima volta che abbiamo 'giocato' insieme mi hanno sgridato... non credo sia una buona idea tornare in mansarda....»

«Ti prometto che questa volta farò la brava... non avevo intenzione di farti sgridare da loro... poi mi sono spaventata e mi sono nascosta... ti prego, dammi un'altra possibilità», Amy stava quasi implorando il piccolo Jack.

«E va bene... mi hai convinto». Jack scese dal letto e, senza far rumore, raggiunse la mansarda dove ad attenderlo c'era Amy seduta sul divano.

«Eccoti qui! Sono veramente felice che tu sia venuto. Ho in mente di fare un gioco calmo e tranquillo.... nascondino! Visto che prima ho parlato di nascondersi...»

«Wow, mi piace un sacco il nascondino! E sono anche fortissimo!» disse Jack entusiasta.

«Bene! Allora visto che sei forte e che la volta scorsa mi sono nascosta io, questa volta ti nasconderai tu. Io conterò fino a 10, mi raccomando trova un bel posto o altrimenti ti troverò subito!»

«Puoi contarci! Chiudi gli occhi ed inizia a contare» disse pieno di entusiasmo Jack.

Amy chiuse gli occhi e, molto lentamente, iniziò a contare.... «Uuuuuuunooooooooooo............ duuuuuuuuuuuuueeeeeeeeee.........»

Jack notò immediatamente i due baulei: ne aprì uno ma conteneva altri DVD ed altri oggetti strani. Fu scartato, avrebbe fatto troppo rumore per svuotarlo e poi, con tutta la roba fuori, sarebbe stato facile capire dove si fosse nascosto. L'altro baule invece, conteneva solo delle coperte. C'era spazio a sufficienza per Jack per nascondervisi e così fece: entrò nel baule e lo richiuse. "Qui dentro non mi troverà mai" pensò, "yawn... che sonno... forse è colpa di quelle strane caramelle che mi ha dato la mamma prima di andare a dormire.... mi riposerò per qualche minuto... tanto non mi troverà mai....". Jack si addormentò su quelle soffici coperte all'interno del baule chiuso ermeticamente.

La mattina seguente....

«Jack alzati che è pronta la colazione. Hai visto che con quelle caramelle sei riuscito a.... Jack? JACK!? DOVE SEI FINITO? JACK! RISPONDIMI!». Entrando in camera di Jack, la donna trovò solamente il letto vuoto. Corse subito in mansarda, ma la porta era chiusa a chiave. Con l'aiuto del marito perlustrarono tutta la casa, ma senza risultato. Decisero quindi di controllare la mansarda. Quando aprirono la porta, grazie alla chiave del marito, trovarono delle coperte fuori da un baule. Si precipitarono quindi ad aprire il baule. Lì, trovarono Jack paonazzo, quasi asfissiato. Corsero quindi all'ospedale, dove riuscirono a salvarlo per miracolo. I due coniugi non si spiegarono come ciò fosse possibile.

«Forse i sonniferi non hanno fatto subito effetto....» ipotizzò la madre.

«Sì ma non riesco ancora a capire come abbia fatto ad entrare nuovamente nella mansarda.... dovrò comprare un lucchetto» disse il padre. Dopo un giorno di osservazione, il piccolo Jack poté tornare a casa. Suo padre comprò un robusto lucchetto che installò sulla porta della mansarda: «Ecco fatto, ora voglio proprio vedere come riuscirai ad entrare» disse l'uomo rivolgendosi al figlio, «con questo lucchetto potrai scordarti la mansarda per un bel po' di tempo».

Quella notte....

«Jaaaaaaaack..... Jaaaaaaack.... »

Jack, aprì debolmente gli occhi e disse: «Amy.... cosa c'è?»

«Volevo complimentarmi con te per aver vinto a nascondino: non sono proprio riuscita a trovarti! Cavolo sei stato bravissimo! Però ora devi darmi la rivincita. Vieni subito qui che facciamo un altro gioco»

«Mi dispiace Amy ma anche volendo non potrei: papà ha messo un lucchetto alla porta e non conosco la combinazione» disse sconsolato Jack.

«Di questo non devi preoccuparti.... tu vieni e basta», tagliò corto Amy.

Il bambino obbedì ad Amy ed andò in mansarda. Stranamente la porta era spalancata: niente lucchetti, niente porte chiuse a chiave. La bambina era lì che lo aspettava, dietro al tavolo di vetro.

«Questa volta giocheremo ad acchiapparella! Tu cercherai di prendermi mentre io scapperò. Ovviamente cercando di non fare rumore o altrimenti si sveglieranno e ci sgrideranno...» disse Amy entusiasta.

«Posso farti una domanda? Quanti anni hai?» chiese Jack.

«Ne ho 12... perché?» rispose interdetta Amy.

«Non sei un po' troppo grande per questi giochi? Anche per me che ne ho 10 acchiapparella è un gioco oramai superato» rispose seccato Jack.

«Beh ma io non ci ho mai giocato e volevo provarlo almeno una volta! Ti prego ti prego ti preeeeegooooooooo» Amy implorò Jack di giocare a quel gioco.

«Uff... e va bene. Ma solo una volta» disse sbuffando Jack.

«Grazie Jack, sei un vero amico!»

Amy corse subito verso la libreria e ci si arrampicò, raggiungendo facilmente la cima.

«Hai praticamente perso, non hai vie di scampo lì sopra!» disse ridendo Jack, sicuro della sua vittoria.

«Sempre se riesci ad arrivare fin quassù» disse Amy in tono di sfida. Il piccolo Jack iniziò a scalare la libreria ma, arrivato quasi in cima, si accorse che qualcosa non andava. La libreria si stava sbilanciando. Fu preso dal panico, ma oramai era troppo tardi: la libreria iniziò a cadere.

Un sonoro tonfo svegliò di soprassalto i due coniugi.

«Cos'è stato?» disse la donna.

«Proveniva dalla mansarda!» urlò l'uomo.

Entrambi scesero dal letto e raggiunsero in fretta e furia la mansarda. L'uomo mise la combinazione.... che però risultò errata. Provo quattro o cinque volte, ma il risultato era sempre lo stesso.

«COM'È POSSIBILE? NON ERI STATO TU A PROGRAMMARE QUEST'AFFARE?» urlò la donna in preda ad una crisi di panico.

L'uomo senza dire nulla corse giù per le scale. Dopo pochi minuti tornò imbracciando un'ascia. Iniziò a sfondare la robusta porta di legno. Dopo una serie di colpi ben assestati, riuscì ad aprire una breccia. I due coniugi entrarono e lo spettacolo che gli si parò davanti fu agghiacciante: la libreria era caduta sul tavolo di vetro, fracassandolo completamente. Da sotto la libreria, spuntava un braccio.

«OH MIO DIO, JACK!» urlò la donna. Entrambi si precipitarono verso la libreria e, a fatica, riuscirono a spostarla, liberando il corpo di Jack da quell'eccessivo peso. Purtroppo però, sulla schiena del povero bambino vi erano conficcati tanti frammenti di vetro: la libreria lo aveva fatto infrangere proprio contro il tavolo di vetro che, frantumandosi, lo aveva infilzato con i vari frammenti. Per il piccolo Jack non c'era più nulla da fare. Forse un intervento tempestivo lo avrebbe potuto salvare, ma così non fu. Sull'enorme TV al plasma vi erano dei graffiti fatti con il sangue: un pentacolo ed una scritta: 'Voi non mi volevate. Ora siamo pari'. Al centro del pentacolo una ricetta medica era attaccata alla TV con del nastro adesivo. Era un documento che riportava i dati di un aborto. La data era di 12 anni fa. La donna alla vista di tutto questo, scoppiò a piangere. L'uomo invece rimase paralizzato dalla paura. E nell'ombra, la piccola Amy osservava la scena in silenzio. Improvvisamente bisbigliò: «Non mi volevate. Diceste che fu un errore, che all'epoca non aveste abbastanza denaro e disponibilità per crescere un figlio. Tutte scuse. Sarebbe bastato fare dei sacrifici, delle rinunce.... ed invece avete deciso di rinunciare a me. In due anni vi siete sistemati: avete trovato un lavoro, una bella casa e vi siete permessi tanti lussi.... perfino un bambino! Il mio piccolo fratellino Jack... devo ammettere che è stato divertente giocare con lui». Un ghigno comparve sulla sua faccia e, successivamente, Amy sparì.