venerdì 6 dicembre 2013

Il mio piccolo Horcrux

In un tempo molto lontano, esisteva un giovane mago di nome Valous. Gentile ed intelligente, aveva però un enorme difetto: non sapeva socializzare. Passava le sue giornate a studiare esercitandosi con la magia, oppure svagandosi coltivando i suoi interessi. Uno di questi era leggere quelli che i babbani chiamavano "manga". Adorava immergersi in quei mondi fantastici pieni di personaggi straordinari, in grado di fare cose impensabili. Avrebbe sempre voluto somigliare ad uno dei suoi beniamini, imitandone il coraggio e la determinazione. Peccato che queste sue passioni, per lo più babbane, non siano viste di buon occhio lì a Hogwarts e ciò lo portava ad essere emarginato. I pochi amici che aveva cercavano sempre di allontanarlo da questi suoi interessi babbani, pensando che non gli facesse bene amalgamarsi sempre di più a quel mondo che non conosceva la magia.

"Sono veramente miei amici? Mi vogliono veramente bene? Perché allora cercano di cambiarmi?" si domandava sempre Valous.

"Non è possibile che a 18 anni tu stia sempre chino sui libri o su quelle cose babbane, devi uscire e trovarti una ragazza! Questo sabato sera usciamo e vediamo di rimediartene qualcuna!» gli dicevano spesso e volentieri. Ma lui rifiutava sempre il "cortese" invito.

"Non voglio una ragazza qualunque, voglio una ragazza che sia alla mia altezza, che sappia capirmi, che mi accetti per quello che sono, con cui possa sentirmi veramente felice", si ripeteva ogni volta, "Ma, ahimè, questa ragazza non esiste....". Purtroppo lui sapeva che di essere un ragazzo "particolare" e che quindi le ragazze non lo avrebbero mai preso in considerazione, malgrado fosse un ragazzo gentile, premuroso, romantico ed intelligente.

Un giorno però, ebbe un'illuminazione: "se ciò che cerco non esiste.... potrei sempre crearlo!". Quella sera stessa, si intrufolò nella sezione proibita della biblioteca di Hogwarts e cercò tra gli scaffali testi riguardanti il Signore Oscuro... beh, l'ex Signore Oscuro oramai. Erano passai ben 15 anni dalla sua dipartita per mano del leggendario mago Harry Potter e dei suoi amici.

"Trovato!", con un sorrisetto in volto, sfogliò il volume in cerca del capitolo giusto. "Eccolo qui! Scissione dell'anima: gli Horcrux e la vita eterna. Era proprio ciò che cercavo". Iniziò a leggere velocemente, divorando il capitolo lettera dopo lettera.

"L'invincibilità di Voldemort fu data dalla sua capacità di scindere la sua anima e creare così 7 Horcrux. Un Horcrux è un oggetto o un essere vivente, nel quale vi è posto un pezzo dell'anima dell'esecutore dell'incantesimo. In questo modo si può vivere in eterno, a meno che l'Horcrux non venga distrutto rendendo così il suo creatore nuovamente mortale."

Continuando a leggere però, non riuscì a trovare il modo per creare questo Horcrux. Decise quindi di "prendere in prestito" il volume, nella speranza che ci fosse un testo nascosto. E dopo settimane di prove, finalmente lo trovò! Valous riuscì a scoprire un piccolo paragrafo segreto nascosto con la magia, in cui venivano spiegati per filo e per segno i passaggi per dividere l'anima ed assegnarla ad un oggetto o ad un essere vivente. Lui però, essendo molto brillante, fece una leggera modifica all'incantesimo: arrivato il grande giorno, era tutto pronto per eseguirlo. Valous andò in una casetta abbandonata senza tetto, ai confini di Hogwarts, si mise all'interno di un cerchio disegnato in terra, estrasse la bacchetta e la puntò verso il cielo, pronunciando queste frasi: Surgo Meo Horcrux! Un lampo di luce azzurra esplose dalla bacchetta e venne sparato in alto, verso il cielo. "Ed ora non mi resta che aspettare..."

L'indomani, una studentessa all'apparenza nuova si presentò nella sala comune accompagnata dal preside Potter.

«Ragazzi, lei è Cindy. Probabilmente non riuscite a ricordarla, ma lei è una studentessa di Hogwarts, una Grifondoro per la precisione. Cindy è stata con noi i primi giorni dell'anno scolastico, poi però un brutto incidente non le ha permesso di continuare le lezioni, facendola entrare in un coma profondo. Proprio ieri però si è svegliata ed ora può riprendere a frequentare le lezioni! Mi raccomando, siate gentili e disponibili con lei», le parole del preside Potter sapevano sempre centrare in pieno il bersaglio. Inizialmente tutti si dimostrarono gentili e disponibili con Cindy, ma quest'ultima preferiva stare sulle sue e dedicarsi alle sue letture. Ben presto venne evitata da tutti, ma a lei ciò non dispiaceva.

«Wow, ma quello è l'ultimo numero di One Piece?», Valous vide Cindy intenta a leggere uno dei suoi adorati manga e la cosa lo impressionò molto.

«S-sì... lo conosci?» rispose la ragazza titubante. Era la prima volta che vedeva un mago preparato sull'argomento.

«È uno dei miei manga preferiti!» rispose il mago pieno di gioia.

I due iniziarono a parlare e scoprirono di avere molte cose in comune.

«Come fai a conoscere tutte queste cose? Io sono per metà babbana e vivo anche nel mondo dei babbani, quindi per me è normale, ma per un mago come te non è un po' bizzarro?» chiese Cindy.

«Beh sì, però il mondo dei babbani mi incuriosisce e mi sono documentato il più possibile, venendo a scoprire dell'esistenza di questi "manga" e, provandone qualcuno, me ne sono innamorato, ahah!» rispose il mago riuscendo a contenere a malapena la gioia.

I due cominciarono a vedersi sempre più spesso, a passare molto del loro tempo insieme e finirono per innamorarsi, venendo malvisti dagli altri studenti.

«Guarda, la coppia di svitati»
«Ma non si vergognano a leggere quella roba? Che gusti bizzarri»
«Ho sentito dire che la sera fanno strani rituali... non sarà magia nera?»

Molte voci iniziarono a circolare sul loro conto, specialmente da quando l'aspetto fisico di Valous iniziò leggermente a cambiare. Ma a loro non importava: erano felici ed innamorati.

Un giorno, arrivò una lettera a Valous dalla presidenza: "Il signor Valous Pendragon deve recarsi nell'ufficio del preside il giorno 20 dicembre alle ore 16:30".

«Cosa vorrà il preside da te? Non hai fatto nulla di male!». Cindy era agitata.

«Stai tranquilla tesoro, vedrai che non sarà niente di grave» rispose calmo Valous.

«Non mi sento affatto tranquilla.... io vengo con te»

«... va bene, ma dovrai aspettarmi fuori, non potrai entrare con me nell'ufficio del preside», sentenziò il mago.

«Va bene, l'importante è che possa essere lì vicino nel caso succeda qualcosa»

Arrivato nell'ufficio del preside, Valous si ritrovò faccia a faccia con l'esimio preside professor Potter.

«Si segga Valous, dobbiamo parlare di una questione importante», Potter gli fece cenno di sedersi. Valous non esitò. «Voglio farle una domanda Valous... lei sa cos'è un Horcrux?». Il mago sussultò per un secondo e rimase in silenzio. «Glielo dico io: un Horcrux è un oggetto o un essere vivente al quale è stata infusa un pezzo di un'anima. In questo modo il creatore dell'Horcrux può aspirare ad una vita immortale. Questa però è una pratica proibita, in quanto l'utilizzatore, venendo privato di un pezzo di anima, può diventare instabile e pericoloso»

«Io non ho fatto nulla di tutto questo» si difese Valous.

«Non menta Valous, i segni sono evidenti». Il preside scansò i lunghi capelli neri dal collo del mago, mostrano degli strani segni neri. «Questo la tua ragazza lo sa?». Valous scansò immediatamente la bacchetta e nascose i segni. «Valous, creare un Horcrux è una pratica proibita, possibile che non lo sappia? Guardi Voldemort, lui è...»

«IO NON SONO COME VOLDEMORT!», Valous scattò in piedi in un attacco di rabbia.

«Ecco... sta già diventando instabile. Dovremmo prendere i dovuti provvedimenti. Ho già contattato una squadra di Dissennatori, stanno venendo per prelevarla e portarla ad Azkaban dove riceverà il trattamento adeguato. Per quanto riguarda la sua ragazza, lei sa della sua condizione? Dovremmo comunque trattenerla e farle delle analisi per assicurarci che non corra pericoli e non risulti una minaccia»

«Proprio lei parla... preside Potter?»

«Proprio perché ho una certa esperienza con queste cose, ho preso simili provvedimenti. Mi dispiace Valous, ma dovevi pensarci prima di...»

La porta si spalancò improvvisamente e Cindy entrò prepotentemente nella stanza: «VOI NON PORTERETE VIA VALOUS, NON POTETE PORTARMELO VIA! LUMUS!» una luce accecante inondò la stanza, costringendo il preside a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, di Valous e Cindy non vi era più nessuna traccia, diede quindi subito l'allarme.

I due giovani stavano scappando sempre più lontano da Hogwarts, verso le foreste.

«Non... non permetterò che ti catturino...» disse Cindy ansimando. Arrivarono al ponte che collegava Hogwarts alla terraferma e, a metà dello stesso, furono sorpresi da una squadra di Dissennatori: erano stati avvertiti dei due fuggiaschi, quindi si precipitarono contro di loro senza pensarci due volte. I due si difesero come poterono, ma i Dissennatori erano in troppi. Valous decise quindi di sacrificarsi, essendo lui un immortale, ma Cindy lo precedette: con un paio di incantesimi riuscì a bloccarlo e a renderlo invisibile ai Dissennatori.

«Questo dovrebbe farti stare al sicuro per un po'. Io li attirerò lontano da qui, in modo da permetterti di scappare una volta che l'effetto del mio incantesimo sarà svanito. Ti amo... non dimenticarlo mai», Cindy disse quelle parole con gli occhi pieni di lacrime e se ne andò, seguita da una scia di Dissennatori.

Quando Valous poté finalmente muoversi, era ormai troppo tardi: il preside Potter lo aveva raggiunto: «È finita Valous, arrenditi»

«Hai detto bene.... è finita....» disse Valous tenendosi alle corde laterali del ponte, guardando giù, verso il vuoto.

«Costituisciti, sarà meglio per tutti. Ci son state fin troppe vittime, bisogna fermare tutta questa violenza e follia!»

 «Violenza? Follia? Io non ho fatto mai del male a nessuno! Tutto ciò che volevo era qualcuno con cui potermi sentire vivo. È per questo che ho trovato l'incantesimo per creare un Horcrux e l'ho modificato. Non c'è stato bisogno di nessun tributo, nessun assassinio, niente di niente! Ho donato parte della mia anima a qualcuno che ne avesse bisogno e la fortuna ha voluto che fosse quella ragazza. Grazie a me è riuscita a risvegliarsi dal coma. No... forse è stato il destino che ci ha fatto incontrare... che ha voluto che facessi ciò, solo per farci innamorare ed essere felici... quello stesso destino che ora ci sta facendo questo...»

«Ora basta Valous, stai chiaramente vaneggiando. Arrenditi e nessun altro si farà male, te lo prometto!» il preside Potter continuava a parlare puntando la sua bacchetta verso Valous.

«...hai ragione, ora basta. Metti fine alla mia esistenza, non posso più vivere senza di lei».

Potter era titubante e continuava a fissare il povero Valous che, con la testa chinata, stava piangendo. Piano piano alzò la testa e sussurrò: «Harry.... ti prego....»

Il preside Potter vide negli occhi del giovane mago lo stesso dolore che poteva intravedere negli occhi del suo vecchio professore Piton. Agitò la bacchetta e pronunciò la formula.

«AVADA KEDAVRA

Valous sperò con tutte le sue forze che quell'incantesimo non ebbe alcun effetto su di lui, ma purtroppo non fu così. Capì allora che oramai Cindy era morta. "Presto saremo di nuovo insieme... aspettami", furono le ultime parole che pronunciò nella sua testa. Il corpo del mago cadde dal ponte, giù verso il fossato.

Intanto nella foresta, una squadra di ricerca trovò finalmente il corpo senza vita della povera Cindy. In una mano stringeva una lettera:

"Caro Valous,
spero tu stia leggendo questa lettera e che sia scappato dai Dissennatori, dal preside Potter o da chiunque altro voglia rinchiuderti per un crimine che non hai mai commesso. Sì, so tutto. So che è grazie a te se mi sono risvegliata, so che è grazie a te se ti ho incontrato e mi sono innamorata... non chiedermi come, ma lo so. Forse è uno dei vantaggi di essere un Horcrux, eheh! Vorrei dirti per un'ultima volta quanto ti amo... abbracciarti e sentire il tuo profumo... accarezzare i tuoi capelli.... baciare le tue labbra...  Spero che tu possa vivere una vita felice anche senza di me. Grazie, per avermi fatto essere una parte della tua vita, ne sono stata molto felice.
Ti amo, ora e per sempre.

Il tuo piccolo Horcrux"

giovedì 14 novembre 2013

Last Night

NdM: si consiglia la lettura di questo racconto con questa musica in sottofondo: http://www.youtube.com/watch?v=6hlADpxjj0s. Buona lettura e buono ascolto!


LAST NIGHT


"Alla fine è giunta. L'ultima notte che passerò su questa terra. Il cancro mi ha divorato fino alla fine. Ho provato a combatterlo tentando di tutto, ma non c'è stato verso. Inizialmente non la presi bene: mi disperai, diventai scontroso ed irascibile, non avevo voglia di vedere nessuno e mi chiusi in me stesso. Del mese di preavviso che mi è stato dato, metà l'ho letteralmente buttato deprimendomi. Grave, gravissimo errore.... quanto tempo ho sprecato facendo l'egoista viziato. Non dissi nulla a nessuno inizialmente, solamente i miei genitori erano consapevoli di ciò. Avrei voluto dirglielo solamente all'ultimo, ho sofferto molto vedendo mia madre disperarsi e piangere giorno dopo giorno. Più si avvicinava la data della mia dipartita, più lei dava fondo a tutte le sue energie disperandosi. Tenni all'oscuro tutti i miei amici e perfino la mia ragazza. Ecco, a lei non sapevo proprio come dirlo.... sapevo che avrei spezzato non uno, ma ben due cuori. Passai la terza settimana del mese interamente con i miei amici... meno l'avrei vista e meglio sarebbe stato. Anzi, avrei voluto che mi odiasse e mi lasciasse, dimenticandomi. Invece sapete come mi ha risposto? 'Ho capito che c'è qualcosa che non va... quando ne vorrai parlare io ci sarò. Ti aspetto amore mio'.... come potevo ignorarla? Come potevo ignorare i miei ed i suoi sentimenti? All'inizio dell'ultima settimana della mia vita, decisi di raccontarle tutto. Rimase sconvolta ovviamente. Si arrabbiò. Pianse. Sfogò su di me parte della sua rabbia. Infine mi abbracciò, senza smetterla di piangere. Ci vedemmo per tutta la settimana e pianificammo come trascorrere la fatidica domenica, giorno del mio addio. Sabato invece lo passai con tutti i miei parenti. Sembrava di assistere al mio funerale: mia madre su di una sedia, intenta a piangere. Mio padre che cercava di consolarla. Mia sorella che singhiozzava e non sapeva cosa dire. I miei zii e cugini erano bianchi in volto. I miei nonni continuavano a scuotere la testa. 'Hey gente, non sono ancora morto, smettetela di comportarvi così!', dissi inutilmente. Fu veramente una giornata terribile. Alla fine di quella giornata, discussi anche con i miei: non volevano che passassi il mio ultimo giorno di vita insieme alla mia ragazza, ad un'estranea. Pian piano li feci ragionare su quanto fosse importante per me e del perché dovessi passare la mia ultima giornata con lei. Alla fine capirono ed acconsentirono alla cosa. Gli diedi indicazioni su dove avrebbero potuto trovarmi il lunedì mattina. Domenica mattina, prima di recarmi al luogo dell'appuntamento, diedi l'ultimo saluto alla mia famiglia in lacrime. Fu una scena abbastanza straziante"

Giunse la notte. Due ragazzi erano seduti su di una collina, l'uno accanto all'altra, avvolti in una sottile coperta di lino. Era una fresca serata estiva. Il vento soffiava dolcemente smuovendo le foglie di alberi e fiori. Il frinire dei grilli creava una certa atmosfera. Il cielo era limpido e stellato, con una bellissima luna piena.

"L'ultimo regalo d'addio da parte del cielo... speravo proprio in uno spettacolo simile" pensò il ragazzo.

«Non è uno spettacolo bellissimo?» disse lui rivolgendosi alla ragazza la quale non rispose, tenendo lo sguardo fisso.

«C'è anche la luna piena. Volevi vedere da tempo uno spettacolo simile, non sei contenta?»

La ragazza chinò il capo e cominciò a singhiozzare. Lui si affrettò ad alzarle dolcemente la testa con le sue mani e, fissandola negli occhi, disse: «Ricordati la promessa»

Lei, continuando a singhiozzare, fece un cenno di assenso con la testa e, pian piano, si calmò.

«Sì... è uno spettacolo bellissimo» rispose lei con un filo di voce.

«Ma mai bello quanto il tuo sorriso!» disse lui continuando a fissarla.

«... scusami ma è già difficile così, non infierire per favore....» disse lei evitando il suo sguardo.

«... lo so che è difficile. È difficile per tutti, specialmente per me. Ma non voglio lasciare questo mondo con un brutto ricordo. Voglio potermene andare con il sorriso sulle labbra. Ricordi la promessa? 'Non dobbiamo piangere per nessun motivo prima della mia dipartita'»

«... si, ricordo la promessa che ci siamo fatti ad inizio settimana. Una promessa che non ho potuto mantenere e...»

«L'importante è che tu la mantenga in mia presenza» concluse lui con il sorriso sulle labbra.

Lei era visibilmente distrutta. Aveva due grandi occhiaie e gli occhi rossi. Aveva pianto tutta la notte prima di quel nefasto giorno. I due ragazzi continuarono a parlare, ad osservare le stelle, a raccontarsi aneddoti tuffandosi nei ricordi, ridendo allegramente come le prime volte che cominciarono a frequentarsi. Improvvisamente lei si strinse nelle braccia di lui. Un abbraccio caloroso, forte, deciso, intenso.

«Mi mancherai.... non sai quanto....» disse lei, cercando di trattenersi.

«.... guarda quelle stelle. I grandi re del passato ci osservano. Ed anche se non sono un re, sarò anche io lì tra loro e veglierò su di te»

La ragazza lo guardò e rise: «Sai che adoro le citazioni disney»

«Per questo l'ho detto, eheh»

I due si abbracciarono nuovamente, concludendo il tutto con un lungo, dolce bacio.
Lui vide che la ragazza faticava a tenere gli occhi aperti.

«Perché non ti distendi un po' sulle mie gambe?» propose il ragazzo

«No, non voglio dormire. Non voglio sprecare così il mio ultimo tempo con te....»

«Ma sei esausta, non hai dormito 'sta notte?»

«...devo anche risponderti?»

«... hai ragione, domanda idiota» si scusò lui, insistendo però: «beh puoi riposarti almeno cinque o dieci minuti. Ti sveglierò non appena ti sarai riposata un po', così potremmo continuare la nostra giornata speciale. Te lo prometto!»

«Va bene.. ma solo cinque... *yawn* minuti....». La ragazza si addormentò non appena posò la testa sulle sue gambe.

Il ragazzo le accarezzò dolcemente i capelli e, mentre la guardava, pensò: "dovrò dirti addio... dire addio a tutto questo.... non voglio, ma non posso farci nulla...». Cominciò a singhiozzare. Ripensò a tutti i bei momenti trascorsi insieme. Una lacrima scese lungo il suo viso.

"Mi dispiace... ho infranto la promessa e sto per infrange quella che ti ho fatto poco fa. Non ho intenzione di svegliarti, non voglio vederti soffrire obbligandoti a tenere tutto dentro. Non voglio.... e poi, sei così dolce quando dormi..."

Improvvisamente avvertì una fitta al petto.

"Alla fine è giunto il momento...."

Adagiò dolcemente il corpo della sua amata disteso sull'erba. Lui si distese vicino a lei, ma non del tutto ancora. Voleva darle un ultimo sguardo. Un ultimo sguardo alla persona che più ha amato in tutta la sua vita. Cominciò a piangere in silenzio, sussurrando: «Io.. voglio solamente dirti.... grazie. Grazie per tutto il tempo trascorso insieme. Grazie per i magnifici ricordi che mi porto nel cuore. Grazie per tutte le immense sensazioni che mi hai fatto provare. Ed infine... grazie... per il tuo sorriso. Il tuo sorriso che mi ha fatto innamorare. Quel sorriso che mi ha scaldato il cuore, che mi tirava su di morale quando ero depresso, che sapeva contagiarmi e farmi ridere a mia volta. Quel sorriso... il tuo sorriso. Non smettere mai di sorridere. Donalo agli altri, sicuramente sapranno apprezzarlo come ho saputo apprezzarlo io. Solamente un'ultima cosa.... scusami se ti ho costretta a sorridere anche se non volevi nient'altro che piangere. Sono stato un egoista... per l'ultima volta. Volevo solamente lasciare questa terra con la tua immagine sorridente. L'immagine del tuo sorriso. Un sorriso... che può far impallidire l'universo. Addio amore mio. Buonanotte"

Il ragazzo si protrasse verso di lei e le diede un piccolo bacio sulla fronte. Dopodiché si adagiò vicino a lei e, lentamente, chiuse gli occhi.

Per sempre.

sabato 9 novembre 2013

Vorrei essere

Vorrei essere il tuo pettine, per accarezzare i tuoi capelli

Vorrei essere il tuo specchio, per fissare i tuoi occhi intensi

Vorrei essere il tuo rossetto, per assaporare le tue labbra

Vorrei essere i tuoi guanti, per prenderti per mano

Vorrei essere la tua coperta, per abbracciarti quando fa freddo


Vorrei essere la persona che ami, per poter fare tutte queste cose contemporaneamente

venerdì 13 settembre 2013

Il principe e la stella

«.....uhmf.....»

Il principe Noland stava nuovamente sospirando, appoggiato alla ringhiera del grande balcone di camera sua che si affacciava sullo sterminato giardino. Aveva gli occhi rivolti verso il cielo, verso quel manto stellato che lo sovrastava e che illuminava le notti più buie, accompagnato dal chiarore della luna. Ogni sera, dopo aver cenato, il principe si chiudeva nella sua stanza chiedendo di non essere disturbato per nessun motivo. Tutti a corte si domandavano cosa facesse il principe nella sua stanza da solo. Perfino i suoi genitori ne erano all'oscuro. Tra i domestici giravano i più svariati pettegolezzi: c'è chi supponeva scrivesse lettere d'amore a qualche fantomatica principessa, chi invece pensava che dipingesse in gran segreto, altri ancora pensavano si auto flagellasse con strumenti di tortura quali fruste o catene. Ma Doroty, la domestica più anziana al servizio della famiglia reale da quando Noland aveva 5 anni, non dava peso a questi pettegolezzi. Era comunque preoccupata per il giovane principe a cui era molto affezionata, arrivandolo a considerare come un figlio. Una sera decise quindi di andare ad investigare. "Usare la chiave che mi ha donato il Re in persona per spiare Noland è un'azione riprovevole... ma è per il suo bene!" pensò Doroty che, dopo un attimo di esitazione, aprì lentamente e silenziosamente la porta della stanza del principe. La domestica era l'unica ad avere la chiave universale del castello, in grado di aprire le porte di tutte le stanze. Solamente la persona che è stata a più stretto contatto con la famiglia reale e che quindi si è guadagnata la loro più totale fiducia poteva ambire ad un tale beneficio.
Richiuse la porta dolcemente dietro di se, attenta a non fare rumore. La stanza era in perfetto ordine, così come l'aveva lasciata la mattina stessa dopo che aveva finito di pulirla. Nessuna lettera d'amore, nessuna tela o pennelli, nessun strumento di tortura. "Alla fine erano solo stupidi pettegolezzi" pensò Doroty tirando un sospiro di sollievo. Subito dopo notò che le tende stavano oscillando, spostate dalla lieve brezza estiva. "La finestra è aperta... che il principe sia fuori, affacciato al balcone? Non penserà mica al suicidio?", Doroty cominciò ad allarmarsi e, con passo svelto, si diresse verso il balcone.

«Sei tu Doroty?». Nell'udire quella voce, la domestica si fermò di colpo.

«Come ha fatto a capire chi fossi?» chiese Doroty incredula.

«Ho sentito dei passi e tu sei l'unica ad avere la chiave della mia stanza, oltre a mamma e papà. Ma so per certo che loro non si sarebbero mai spinti fino a questo punto, quindi la scelta è ricaduta inesorabilmente su di te»

«Chiedo umilmente scusa mio principe... non accadrà mai più. È solo che... ero terribilmente preoccupata per lei: ogni sera si ritira nella sua stanza e Dio solo sa cosa le passa per la testa...»

«... avvicinati Doroty, voglio mostrarti una cosa»

La domestica lentamente scansò le tende e vide Noland appoggiato alla ringhiera del balcone, intento ad osservare il cielo stellato.

«Quindi... è questo che fate ogni sera? Osservate le stelle?» chiese Doroty.

«Non esattamente... a me non interessano tutte le stelle, ma una in particolare. Quella lì». Il principe puntò il dito in direzione del cielo, ma Doroty non riuscì a capire quale stella indicasse.

«La vedi, Doroty? Non è bellissima?», il principe continuava ad indicarla.

«Sono desolata mio principe, ma non riesco a capire quale stella stiate indicando»

«Guarda meglio Doroty, sto indicando quella più bella che si trova in mezzo a quel gruppetto di cinque stelle», il principe insisteva tenendo ancora il braccio proteso verso il cielo.

«... Mi dispiace, ma a me quelle stelle sembrano tutte uguali», disse mortificata Doroty.

«... Non importa. Evidentemente solo io riesco a coglierne l'incredibile bellezza...», desolato, abbassò il braccio e sospirò, senza togliere gli occhi di dosso alla sua stella.

«Mi scusi se mi intrometto, mio principe, ma quella stella sulla destra non è più bella? È più grande di quella che state osservando»

«Più grande non significa più bella, cara Doroty» disse Noland senza distogliere lo sguardo.

«... e che ne dite di quell'altra? Guardate quanto è luminosa e brillante, è veramente uno spettacolo per gli occhi!»

«Come sei superficiale cara Doroty...» disse il principe sospirando nuovamente.

Doroty non riusciva a capire. Cos'aveva di speciale quella stella? Non era grande, non era così brillante, era uguale ad altre milioni di stelle presenti nel cielo. Perché proprio lei? La domestica continuava ad osservare il giovane principe che disse: «Perché mi stai osservando Doroty?»

«Mi stavo domandando... ecco... come si sentisse»

«Vuoi sapere come mi sento, Doroty?»

«Gliene sarei grata»

«Ogni sera vengo qui e rimango ore ed ore ad ammirare quella stella... sapendo che non potrò mai averla. E la cosa mi distrugge dentro. So che può sembrare una follia, ma non riesco a fare a meno di lei. Durante la giornata aspetto con trepidante attesa l'arrivo della notte, riuscendo a fatica a pensare ad altro. Nei giorni in cui il cielo è coperto dalle nuvole che mi impediscono di vederla, mi assale una grande tristezza e desidero che quelle nuvole spariscano. Solamente quando sono qui con lei, che la osservo, mi sento veramente felice.... anche se è una felicità effimera ed illusoria»

Nel sentire quelle parole, il cuore di Doroty si strinse e lei provò un forte dolore: non poteva vedere il suo giovane principe ridotto in quello stato. Così, molto debolmente, disse: «C'è.... c'è qualcosa che posso fare?»

Il principe si girò lentamente verso di lei, la fissò negli occhi e disse: «Puoi portarmi quella stella?»

Doroty, soffocando il dolore, rispose: «Mi dispiace... ma non ne sono in grado»

Il principe tornò ad osservare la sua stella, dicendo: «Allora no, non c'è niente che tu possa fare».

«Con il suo permesso, mi ritiro. Le auguro una buona notte». Doroty fece un breve inchino e si avviò verso la porta. Quando fu al centro della stanza, una voce la raggiunse.

«Doroty»

La domestica si girò, ma vide solamente le tende immobili. Il vento si era calmato.

«Quanto hai visto e sentito questa sera... non parlarne con nessuno»

Una forte folata di vento fece scostare le tende e Doroty riuscì ad intravedere il viso del principe, rigato dalle lacrime.

«Come desidera, mio principe»

Un principe. Un membro di una famiglia reale. Una persona che può avere tutto dalla vita.... ma che non può avere ciò che realmente desidera.

giovedì 22 agosto 2013

Burn baby burn, till the end

Questa storia è una fanfic basata sul videogioco "Little Inferno"

BURN BABY BURN, TILL THE END

Mike è un tenero ragazzo di 13 anni che vive con i suoi genitori in una piccola città del nord America. Tranquillo, intelligente, gentile, diligente… l’orgoglio di mamma e papà. Non ha caratteristiche fisiche o doti particolari, ma è comunque circondato da amici che gli vogliono bene ed una fidanzatina che lo ama. Le giornate in quella cittadina passano facendo sempre le stesse cose, ma tutto sommato la vita è piacevole e lui è felice. Tranne nel periodo invernale…. Quando arriva l’inverno, la temperatura si abbassa inesorabilmente, rendendo difficile vivere: le strade ed i vetri si ghiacciano rendendo difficile lo spostamento con i mezzi, l’acqua fatica a scorrere nelle tubature, tormente di neve causano incidenti alle abitazioni o alla linea elettrica/telefonica della città, molte persone rischiano l’assideramento, specialmente anziani e bambini, il cibo scarseggia e le fabbriche lavorano a rilento. Un periodo chiamato “Little Inferno” dalla gente del luogo. La situazione peggiorava di anno in anno, dovevano quindi correre ai ripari. Le menti più brillanti della città si riunirono e decisero di fondare una fabbrica, la “Little Inferno Corporation”, finanziata interamente dai cittadini. Essa aveva il compito di trovare una soluzione all'eccessivo freddo che puntualmente ogni inverno colpiva la città. Furono creati progetti, fatti esperimenti, creati prototipi. Per mesi e mesi la fabbrica ha lavorato a pieno regime, specialmente nel periodo estivo, periodo che preannunciava l’arrivo del “Little Inferno”. Finalmente i numerosi sforzi furono ripagati ed il prodotto venne realizzato: la “Fornace Little Inferno” era finalmente realtà. Ma in cosa consisteva? Semplice: una piccola fornace dove inserire dei materiali e vederli prendere fuoco grazie ad una piccola fiammella sempre presente all'interno della fornace stessa. Il materiale inserito (che può essere di qualsiasi entità, dal ferro all'oro alla seta fino a materiale biologico) prende rapidamente fuoco ed il calore sprigionato viene contenuto nella fornace, generando così riscaldamento autonomo per tutta la casa! Per fare un esempio: una banalissima mela può generare riscaldamento sufficiente per dieci minuti. Nemmeno i creatori di questa fornace conoscono i livelli di calore generati dalla combustione di tutti gli oggetti. La gente avrebbe dovuto sperimentare. Visti i copiosi investimenti forniti dalla popolazione, la Fornace Little Inferno fu concessa gratuitamente. In questo modo la cittadina era salva e poteva superare l’inverno senza troppe difficoltà.

«Finalmente è arrivato l’inverno!» disse Mike entusiasta.

«Come mai sei così agitato Mike?» chiese suo padre, comodamente seduto in poltrona e con una pipa in bocca, intento a leggere un giornale. Con il sorriso sulle labbra continuò: «È per via del nuovo ‘giocattolo’ che è andata a prendere la mamma?»

*DLIN DLON*

«ECCOLA È ARRIVATA!»

Mike corse verso la porta d’ingresso. Il padre piegò il giornale e lo poggiò sul tavolino del salone, aspirò una grossa boccata di fumo dalla sua pipa e si alzò, seguendo lentamente il figlio verso l’ingresso. Mike aprì la porta e vide sua madre con in mano una grossa scatola. La scritta riportava “Fornace Little Inferno: riscaldiamo la tua vita con divertimento!”. Sembrava più un gioco da tavolo che un sofisticato elettrodomestico di riscaldamento.

«Oh, finalmente è arrivata! Perché non mi aiuti a montarla Mike?» disse l’uomo rivolgendosi al figlio.

«Sììììììì!» rispose Mike entusiasta.

I due assemblarono ed installarono la fornace nel salone in modo che fungesse anche come elegante camino.

«Ora non ci resta che provarla…. ecco qui della carta», la madre porse a Mike dei fogli di carta.

«Ma…. mamma! Non è divertente così! Perché non proviamo con qualcosa di più resistente? Come.. come..»

«Come questo attizzatoio?», il padre tirò fuori da sotto al divano un attizzatoio in solido ferro.

«Caro, dove hai preso quell’attizzatoio?» chiese incuriosita la moglie.

«L’ho comprato alla fine di quest’estate, quando uscì il comunicato stampa dove vennero divulgati i dettagli della Fornace Little Inferno. Così possiamo testare le reali capacità della macchina». L’uomo porse l’attizzatoio a Mike che intanto aveva acceso la macchina. Al centro di essa vi era una piccola fiammella di un colore blu acceso. Il ragazzo avvicinò la punta dell’oggetto alla fiamma e…. dopo pochi secondi prese fuoco!

«È incredibile….» esclamò il padre di Mike.

«Sbalorditivo…» disse la madre.

Mike invece non disse nulla. Continuò ad osservare quel piccolo pezzo di metallo che pian piano prendeva fuoco.

«MIKE PRESTO! BUTTALO NELLA FORNACE!». Il padre gli urlò contro, ma il ragazzo era come ipnotizzato ed il fuoco stava raggiungendo il suo braccio. Con un movimento deciso allora, l’uomo tolse dalle mani del ragazzo l’attizzatoio e lo gettò nella fornace, osservando come il fuoco pian piano lo consumava, lasciando solamente della cenere.

«Che ti ha preso Mike? Stavi per ustionarti il braccio!» lo rimproverò l’uomo.

«Sc…scusa papà… mi sono distratto» disse mortificato il ragazzo.

«Devi stare più attento la prossima volta Mike» sentenziò sua madre.

«Sentite…. che… che…. CHE BEL TEPORE!» esclamò l’uomo sentendo che la temperatura stava lentamente aumentando in tutta la casa.

«Finalmente passeremo un inverno come si deve! Non dovremmo più coprirci con strati e strati di cappotti, non dovremmo più lottare per non morire congelati… mi sembra un sogno…» la donna cominciò a versare qualche lacrima di gioia.

Mike si mise seduto davanti alla fornace, osservando la piccola fiammella blu. La cenere venne raccolta automaticamente dalla macchina ed espulsa grazie ad un sistema di “scarico”. «Mamma… mi passeresti un foglio di carta per favore?» chiese il ragazzo a sua madre, ma senza distogliere lo sguardo dalla fornace. La madre gli passò i fogli che voleva dargli prima e lui, uno per uno, li mise nella fornace, vedendoli bruciare uno dopo l’altro. La vista delle fiamme… del consumarsi degli oggetti ed infine della cenere che si deposita alla base della fornace… quella scena a Mike piaceva. Piaceva veramente tanto! Ed ogni volta che la fornace scaricava la cenere, un alone di tristezza sovrastava il ragazzo. «Uff sono già finiti…. Mamma, hai dell’altra carta?» chiese Mike sempre senza distogliere lo sguardo.

«Mi dispiace tesoro, ma non ne ho più. Domani ne andrò a comprare ancora e.. »

«MA A ME SERVE ADESSO!», era la prima volta che Mike alzava la voce, per di più contro sua madre.

Il padre si avvicinò al ragazzo e lo rimproverò pesantemente, mandandolo a letto senza cena. Mike si scusò con la madre ed andò in camera sua con la testa chinata per il dispiacere.

«Caro, sei sicuro che sia una buona idea mandarlo a letto senza cena? L’inverno è praticamente arrivato e…»

«Non ti preoccupare, non fa ancora così freddo e poi abbiamo la Fornace Little Inferno! Per questa notte dovremmo avere riscaldamento a sufficienza. Domani dovremmo andare a far scorta di tutto ciò che potrebbe servirci: passeremo l’inverno a carbonizzare di tutto, ahah!»

Quella notte, Mike non riuscì a chiudere occhio. Nella sua testa vedeva sempre la stessa sequenza di immagini: gli oggetti che venivano messi sulla fiammella della fornace, gli stessi che prendevano fuoco, le fiamme che si sviluppavano per poi morire ed, infine, la cenere che si depositava sulla base della fornace. Quella sequenza lo accompagnò per tutta la notte, facendolo esaltare come non mai. Solitamente era un ragazzo tranquillo e niente era mai riuscito a farlo emozionare come quella piccola fornace. Doveva bruciare altra roba… doveva rivedere ancora quello spettacolo…. Ancora e ancora e ancora….

Giunse finalmente il mattino ed il primo freddo invernale si stava facendo sentire. Mike era riuscito infine ad addormentarsi, i suoi genitori quindi lo lasciarono dormire. Al loro rientro, il ragazzo trovò diversi scatoloni ammassati nello sgabuzzino.

«Ah finalmente ti sei svegliato! Hai visto quegli scatoloni?» domandò la madre vedendo Mike sopraggiungere nel salone.

«S.. sì… cosa sono?» chiese il ragazzo ancora intontito dal sonno.

«Quegli scatoloni contengono tutta la roba da bruciare durante questo inverno. Ce n’è veramente tantissima! Perché non ne utilizzi subito qualcuna? Sta cominciando a fare freddo» disse sorridendo il padre.

Mike non se lo fece ripetere due volte e si fiondò nello sgabuzzino. Negli scatoloni c’era ogni genere di cosa: dai giocattoli a degli attrezzi da lavoro, dalle stoffe a dei pezzi di metallo di vario genere e tipo, c’era perfino della spazzatura. “Direi di cominciare dai rifiuti” pensò Mike. Il ragazzo portò in salone uno scatolone contenente tutti rifiuti: pezzi di cibarie, vestiti logori, giocattoli rotti, elettrodomestici oramai consumati, barattoli vuoti ed unti, bottiglie di vetro e di plastica… insomma, un vero letamaio. Arrivato nel salone, Mike cominciò a buttare nella fornace tutto ciò che gli capitava di prendere dallo scatolone: prima prese una bottiglia di vetro, poi un orsacchiotto di peluche senza un braccio, poi ancora un paio di jeans. La fiamma era viva più che mai all'interno della fornace, illuminando l’ambiente circostante e generando calore in uno spettacolo magnifico. Le fiamme danzavano in maniera quasi ipnotica, proiettando inquietanti ombre per tutta la stanza. Improvvisamente Mike estrasse dallo scatolone una bottiglia di plastica che conteneva ancora del latte. Ma lui non se ne accorse e buttò l’oggetto nella fornace.

«MIKE CHE COSA FAI?! NON TI SEI ACCORTO CHE QUELLA BOTTIGLIA CONTENESSE ANCORA DEL LIQUIDO?» Il padre andò su tutte le furie: se la prima Fornace Little Inferno era gratuita, le successive, in caso di guasto della prima, dovevano essere regolarmente acquistate ed il costo era tutt'altro che irrisorio. Ma accadde qualcosa di strepitoso: il fuoco… stava bruciando il latte! Il liquido cominciò a bruciare lentamente… per poi divenire cenere.

«Co…com'è possibile tutto ciò? Cosa diavolo è quella fiammella?» si domandò l’uomo preoccupato.

«Caro, forse è un aggeggio pericoloso? Forse dovremmo riportarlo indietro?» la donna era ancora più preoccupata del marito.

«No… la fornace resta dov'è… è totalmente sicura… queste sono solamente delle misure di sicurezza nel caso qualcuno versi inavvertitamente del liquido nella fornace… va tutto bene….» Mike continuava a vedere il fuoco e a buttare roba nella fornace, quasi fosse ipnotizzato. Quando lo scatolone fosse completamente vuoto, buttò anch'esso nel fuoco.

«Mike…. va tutto bene figliolo?» chiese il padre al ragazzo.

«Sì papà… va tutto a meraviglia…»

L’uomo si avvicinò alla moglie e le sussurrò all'orecchio: «Io vado a chiedere spiegazioni alla ditta di fabbricazione di quei cosi… tu tieni d’occhio nostro figlio. Se fa qualcosa di strano, cerca di fermarlo». Detto ciò, l’uomo prese il suo pesantissimo cappotto ed uscì di casa. Mike si alzò e si diresse verso lo sgabuzzino.

«Dove stai andando tesoro?» chiese la madre preoccupata.

«Vado a prendere un altro scatolone mamma, per bruciare altra roba»

«N-non credi che possa bastare? Ne hai bruciata così tanta, abbiamo riscaldamento a sufficienza»

«No mamma, non è abbastanza. Bisogna bruciare ancora e ancora e ancora…»

Il ragazzo stava per dirigersi verso gli scatoloni, ma la madre lo prese per un braccio. Mike guardò la donna e poi la mano che aveva usato per fermarlo ed esclamò: «Bella quella fede mamma…. secondo te quanto tempo impiegherà per bruciare?»

«Che.. che cosa stai dicendo?»

Il ragazzo non rispose: afferrò la madre con entrambe le braccia e la trascinò verso la fornace. La donna cercò di liberarsi dimenandosi ed urlando, ma fu tutto inutile: Mike era incredibilmente più forte. Quando fu davanti alla fornace, anziché togliere la fede e buttarcela dentro, mise direttamente la mano della madre all'interno, la quale cominciò immediatamente a bruciare. L’urlo di dolore della donna risuonò in tutto l’appartamento. Alla vista del fuoco, Mike allentò la presa. La donna poté così ritirare il braccio, ma oramai la mano era coperta dalle fiamme. Provò a spegnerle ma senza successo. Alla fine le fiamme si spensero da sole, lasciando cadere della cenere sul pavimento. La donna era in preda al terrore: la perdita della mano destra l’aveva scioccata.

«Cosa dirà il papà vedendoti in quello stato? Non possiamo lasciarti così… e poi il fuoco che hai generato era così bello mamma….», Mike si avvicinò pericolosamente a sua madre.

Dopo un paio di ore, il padre del ragazzo tornò a casa e vide Mike davanti alla fornace intento a bruciare altra roba presa dai soliti scatoloni.

«Dov'è la mamma?» chiese l’uomo.

«È uscita, doveva fare delle commissioni»

«Le avevo detto di rimanere a casa a controllarti… che testarda. Noi due dobbiamo fare un discorsetto, appendo il cappotto e sono subito da te»

Mike continuava ad osservare il fuoco.

«Senti Mike, devo parlar… che ci fa qui una scarpa di tua madre?», l’uomo notò poco distante dalla fornace una delle scarpe indossate dalla moglie prima che lui uscisse di casa. C’era anche della cenere sparsa lì vicino. «Sai spiegarmi perché questa scarpa si trovi qui? E cos'è questa cenere?», l’uomo indicò l’oggetto sul pavimento.

«Ah ecco, si era salvato un pezzo», Mike prese la scarpa e la buttò nella fornace.

«Ma che stai facendo!? E dov'è la mamma!?» l’uomo si stava seriamente preoccupando.

Mike estrasse dallo scatolone una chiave inglese: «Vedi papà… la mamma non voleva che bruciassi altra roba… così… è diventata parte della roba da bruciare»

«Cos…», la chiave inglese colpì alla testa l’uomo che non riuscì ad evitarla: Mike fu così rapido da lasciarlo spiazzato.

«Ed ora anche tu farai parte di questo magnifico spettacolo, papà!». Il ragazzo cominciò a trascinare il corpo dell’uomo verso la fornace…

Passarono un paio di giorni. Mike passava tutto il tempo a bruciare cose nella fornace. Non aveva più alcun  contatto con nessuno: non aveva più un pc, altra vittima della fornace ed il cellulare lo teneva per la maggior parte del tempo spento, per non essere disturbato dagli amici e dalla ragazza che lo tartassavano di chiamate e messaggi. Aveva bruciato quasi tutti gli scatoloni e la roba della casa, restava solo uno scatolone di attrezzi ed i grandi mobili della casa: librerie, armadi, scaffali, mensole, letti… Con gli attrezzi dell’ultimo scatolone decise quindi di smontare tutti i mobili per farne “legna da ardere”. In un altro paio di giorni, tutti i mobili della casa divennero cenere così come gli attrezzi stessi. Era rimasto completamente solo, senza più roba da bruciare. L’ultima cosa che bruciò fu il suo cellulare…. Improvvisamente si sentì bussare alla porta. Mike trovò la forza per andare ad aprire: era la sua ragazza.

«Mike! Allora stai bene!» gli si buttò al collo e lo abbracciò con passione: «Perché non mi hai aperto subito? Ho suonato quattro o cinque volte al campanello»

«L’ho buttato, era rotto. Devo sostituirlo»

«Ed i tuoi dove sono?»

«Sono partiti per un viaggio, io son voluto rimanere qui»

«Come mai non rispondi ai miei messaggi? Alle mie mail?»

«Il pc è dal tecnico per un problema, mentre il cellulare mi è caduto e si è rotto». I due erano nel salone e Mike stava dando le spalle alla sua ragazza, non guardandola negli occhi.

«Mike… c’è forse qualche problema? Perché non mi guardi? Che cos’hai? Dimmelo avanti… posso aiutarti in qualche modo?»

Il ragazzo si girò di scatto e diede un fortissimo pugno in faccia alla ragazza che cadde rovinosamente a terra e perse i sensi.

«Certo che puoi aiutarmi amore… brucia di passione per me!». Pian piano Mike bruciò anche la sua ragazza.

«Oh mio dolce e magnifico fuoco… perché il tuo spettacolo dura sempre così poco? Non ho più nient’altro per poterti vedere… nient’altro… tranne….». Mike si guardò le mani e poi guardò la piccola fiammella blu. Pian piano avvicinò la sua mano verso la fiammella. Sentiva il calore crescere, ma non voleva ritirare la mano. Toccò la fiamma blu e… la sua mano cominciò a prendere fuoco. Mike gridò, ma non era un grido di dolore quanto di piacere. Ora anche lui faceva parte di quel meraviglio spettacolo. “Non ne faccio solamente parte…. IO SONO IL PROTAGONISTA!”, pensò. Si buttò nella fornace, venendo divorato tra le fiamme. Pochi secondi e tutto ciò che rimase fu un mucchio di cenere. Cosa che la Fornace Little Inferno provvide subito a “scaricare”.

giovedì 8 agosto 2013

Piccola nota sull'Istituto Nashira

"L’Istituto Nashira" sarà una storia disturbante, malata, cattiva e violenta. Perché sì. Astenersi perbenisti e deboli di cuore. Io vi ho avvertito. Il prologo non è niente di che, ma la storia deve ancora svilupparsi. Più andrà avanti e più diventerà pesante.

L'Istituto Nashira - prologo



Hiroshi Tanaka, studente appena trasferitosi nell'illustre istituto Nashira. Quest'anno avrebbe frequentato l'ultimo anno del liceo e si sarebbe diplomato, riuscendo a realizzare il suo sogno di iscriversi all'università di Tokyo e di diventare un famoso magistrato. Hiroshi quel giorno si alzò di buon'ora, fece un'abbondante colazione, prese i suoi bagagli e salutò i suoi zii.

«Zio Isei, zia Ruriko, grazie per esservi presi cura di me in questi mesi. Intendo dopo l'accaduto....», Hiroshi si fece silenzioso.

«Non devi preoccuparti Hiroshi caro, è stato un vero piacere. Ora non pensarci e raggiungi pure l'istituto che sarà la tua nuova casa d'ora in avanti.... beh, almeno per quest'anno» disse cordialmente zia Ruriko.

«Sicuro che non ti serva un passaggio? Posso accompagnarti con la macchina fino all'istituto», zio Isei era sempre così premuroso.

«Non serve, ti ringrazio zio. Avete fatto abbastanza per me, è ora che tolga il disturbo e me la cavi da solo. Non appena mi diplomerò, tornerò a salutarvi, promesso!». Il ragazzo si chinò in segno di saluto e i due zii fecero lo stesso. Dopodiché si incamminò con un pesante zaino sulle spalle ed un trolley. Era abbastanza agitato per tutto quei cambiamenti. Si toccò la fronte: la benda era ancora ben salda. Nella sua mente tornarono vivi i ricordi dell'incidente e della sua permanenza in ospedale... Scosse la testa per allontanare quei ricordi dolorosi e si concentrò sul suo presente, sulla sua nuova avventura in questa nuova scuola: nuovi compagni, nuovi professori, nuove esperienze. "Spero che ci siano delle ragazze carine" pensò lui facendo dei pensieri sconci.

«Ecco l'istituto!» disse il ragazzo pieno di entusiasmo. L'ingresso era deserto. "Beh, visto che sono l'unico nuovo e che tutti gli altri già abitano all'interno dell'istituto, è normale che non ci sia nessuno all'ingresso". Hiroshi non sapeva a chi chiedere informazioni. Si stava guardando intorno, quando ecco spuntare un gruppo di studenti in tenuta da ginnastica intenti a correre nel cortile. Un uomo muscoloso li incitava a non battere la fiacca. Il ragazzo si avvicinò verso l'uomo e chiese informazioni: «Buongiorno, il mio nome è Hiroshi Tanaka e sono un nuovo studente dell'istituto Nashira. Potrebbe indicarmi dove si trova la presidenza?»

«Ah tu sei quello nuovo! Piacere di conoscerti, io sono Jin Mori, insegnante di educazione fisica» rispose l'uomo dall'alto della sua imponenza. Era molto alto e muscoloso, caso abbastanza raro per un giapponese. Aveva dei capelli corti a spazzola biondi, un sopracciglio spezzato e due grandi occhi verdi. Indossava una canottiera blu e dei pantaloncini corti neri che esaltavano la sua muscolatura I due continuarono a parlare e mentre Jin indicava come raggiungere la presidenza a Hiroshi, gli studenti smisero di correre per riprendere fiato. Un gruppetto di ragazzi cominciò a parlottare tra loro.

«Chi sarà quel tizio?»

«Magari è un nuovo studente»

«Secondo voi... cosa avrà fatto?»

«Mah, chi può dirlo... a me sembra un sempliciotto»

«E se fosse uno schizzato? O magari è autistico come te Iwao»

«SMETTILA DI DIRE CHE SONO AUTISTICO! SONO SOLO PIU' INTELLIGENTE DI VOI E BASTA!»

«Certo certo... comunque spero che sia nella nostra classe.... vorrei proprio vedere la reazione di Kojiro»

«Ci sarà sicuramente da ridere. E da ripulire dopo...»

«No, vi prego, state calmi! Oggi è il mio turno per le pulizie, non combinate macelli»

«Ben detto, sarà un vero e proprio macello!»

Hiroshi ringraziò con un piccolo inchino e si diresse verso l'ingresso. Incrociò con lo sguardo il gruppo di ragazzi che lo fissarono con indifferenza.

«HEY VOI! NON VI HO DETTO DI FERMARVI! CONTINUATE A CORRERE SE NON VOLETE PASSARE GUAI!» disse adirato l'insegnante.

Dopo la lezione di educazione fisica, i ragazzi tornarono in classe, 3° anno, sezione D. Ad attenderli c'era il preside con accanto il ragazzo di prima. Gli studenti rimasero inizialmente interdetti, poi si diressero verso i loro rispettivi posti a sedere.

«Ragazzi, da oggi avrete un nuovo compagno di classe! Il suo nome è Hiroshi Tanaka e frequenterà il nostro istituto. Siccome l'anno scolastico è iniziato già da una settimana, mi aspetto che sarete tutti gentili e disponibili nell'aiutarlo a mettersi in paro con il programma. Ora vi lascio che ho delle faccende importanti da sbrigare. Avete ancora 10 minuti prima della fine dell'ora, utilizzate questo tempo per conoscervi meglio. Li affido a lei, Mori-san, stia attento che non combinino guai. Sarebbe un peccato dover perdere subito un nuovo arrivato». Detto questo, il preside uscì dall'aula abbastanza di fretta.

"Chissà dove deve andare con tanta urgenza" pensò Hiroshi.

«Da dove vieni?» chiese un ragazzo.

«Vengo dall'Hokkaido»

«E che ci fai qui a Shimoda!? È praticamente dalla parte opposta!» disse un altro ragazzo.

«Un tempo vivevo con i miei... poi però abbiamo avuto un incidente e loro sono morti. Dopo alcuni mesi passati in ospedale, sono stato costretto a trasferirmi qui dai miei zii, gli unici parenti che mi sono rimasti»

«Sicuro che si sia trattato di un incidente?» disse sospettosa una ragazza.

«...che vuoi dire?» chiese indispettito Hiroshi.

«Voglio dire... che se sei qui, qualcosa devi aver pur fatto»

«Perché dovrei aver fatto qualcosa?», Hiroshi non riusciva a capire dove volesse arrivare quella ragazza.

«..19... 20... 21....diciannove..... venti.... ventuno.... DICIANNOVE, VENTI E VENTUNO! SIAMO IN VENTUNO! VENTUNO, CAPITE?! E TUTTO PER COLPA SUA» un ragazzo si alzò in piedi di scatto e puntò un dito contro Hiroshi.

«Ed ecco che Kojiro sbrocca... godiamoci pure lo spettacolo» disse una ragazza.

Il ragazzo di nome Kojiro scostò con violenza la sedia su cui era seduto e si avvicinò a rapido passo verso Hiroshi, con gli occhi pieni di rabbia. Con una mano gli afferrò il collo mentre l'altra l'agitava con il pugno chiuso: «ALLORA, LO SAI COSA HAI FATTO? CI HAI FATTO DIVENTARE UNA CLASSE DI VENTUNO PERSONE! PRIMA ERAVAMO IN VENTI, UN BELLISSIMO NUMERO. ORA SIAMO IN VENTUNO! TE NE DEVI ANDARE ED ALLA SVELTA SE NON VUOI FINIRE MALE! HAI CAPITO!??!»

«Ch...che diavolo stai... stai dicendo?». Hiroshi parlava a fatica.

«BASTA COSI', ADESSO SMETTILA!», il professore di educazione fisica separò i due ragazzi e Hiroshi poté così riprendere fiato.

«SE NON TE NE VAI IMMEDIATAMENTE, IO TI AMMAZZO, HAI CAPITO? TI AMMAZZO!!!» continuava ad urlare Kojiro.

«Adesso calmati Kojiro. La prossima sarà l'ora di storia ed avremmo Fujiwara sensei.... potrai sfogarti come e quanto vuoi». Un ragazzo dal fondo dell'aula riuscì a far calmare Kojiro.

«... già, hai ragione. Preparati novellino, oggi sarà il tuo primo ed ultimo giorno di scuola, te lo garantisco». Dopo aver puntato nuovamente il dito contro Hiroshi ed avergli lanciato un'occhiata minacciosa, Kojiro tornò a sedere al suo posto.

"Ma dove sono capitato? Che razza di posto è questo?!"

martedì 6 agosto 2013

La voce di un triste ricordo

Jack è un bambino di 10 anni dal capello corto e biondo, occhi azzurri ed un grazioso naso a patata, costellato da lentiggini su tutto il viso. Pieno di vita e voglia di fare, adora giocare, correre, saltare... un vero terremoto! È veramente difficile tenerlo a bada quando qualcosa lo colpisce in particolar modo, come del resto la maggior parte dei bambini della sua età. Ma a differenza loro, Jack non ha paura: per lui fantasmi, demoni, diavoli non rappresentano una minaccia o un qualcosa di cui aver pausa, anzi lo incuriosiscono. È per questo motivo che quando Jack cominciò ad udire una voce proveniente dalla mansarda al terzo piano della sua piccola villetta non ebbe alcuna paura.

«Jack.... Jack.... vieni a giocare con me...» diceva quella voce, insistentemente.

«Chi sei?» domandò curiosamente Jack. Il fatto che una voce sconosciuta lo chiamasse nel bel mezzo della notte non lo preoccupava affatto.

«Sono una bambina tanto sola Jack... ho bisogno di un amico.... un amico con cui giocare.... Vieni qui Jack, vieni nella mansarda», disse la voce ricolma di tristezza.

«Non posso, non ho il permesso di andare nella mansarda... mio papà poi la tiene chiusa a chiave», rispose scoraggiato il piccolo Jack.

«Non ti preoccupare... è aperto. Vieni Jack, vieni qui da me»

Jack, incuriosito dall'insistenza di quella voce, scese dal letto e, lentamente e senza far rumore, si diresse verso la mansarda. La sua cameretta era proprio vicino alla camera dei suoi genitori. In punta di piedi, il piccolo bambino avanzò pian piano, fino a raggiungere le scale che portavano al terzo piano e quindi alla mansarda.

«Vieni Jack.... fai presto.... Non vedo l'ora di conoscerti e di diventare amici!»

Il piccolo, preso dall'eccitazione, fece le scale tutto di corsa ed arrivò davanti alla porta della mansarda.

«Coraggio Jack.... apri la porta...» disse ansiosamente la voce.

Jack afferrò la maniglia, la girò e spinse pian piano. La porta si stava lentamente aprendo. Dentro la stanza, riuscì ad intravedere una misteriosa figura nera, con lunghi capelli neri che le coprivano parzialmente il viso.

«CHI C'È?»

La voce di sua madre proveniente dal piano di sotto fece spaventare Jack che chiuse di scatto la porta e scese velocemente le scale, ritrovandosi davanti la madre con una mazza da baseball in mano.

«JACK! COSA CI FAI QUI? ERI TU AD AVER FATTO QUEL RUMORE PER LE SCALE ALLORA?», la donna era sollevata. La preoccupazione si trasformò subito in rabbia.

«Sì, scusa mamma... ho fatto uno strano sogno e non so come mi sono ritrovato davanti la porta della mansarda che era stranamente aperta!» rispose Jack inizialmente timoroso, ma lasciatosi poi prendere dall'entusiasmo.

«Ed uno strano sogno ti ha fatto salire delle scale? Forse è il caso di prendere appuntamento con un dottore.... Ora fila a nanna che è tardi», rispose preoccupata la donna.

«Va bene... buonanotte mamma!»

«Buonanotte Jack». La donna diede un bacio sulla fronte al proprio figlio e si assicurò che entrasse in camera sua. Insospettita da ciò che aveva detto Jack, salì le scale per controllare la porta della mansarda. Chiusa, come sempre.

La notte seguente....

«Jaaaaack.... Jaaaaaaack...», di nuovo quella voce, ancora più insistente del solito.

Il piccolo Jack si svegliò con difficoltà e, sbadigliando, disse: «Sei ancora tu?»

«Sì Jack, sono ancora io.... sono qui in mansarda che ti sto aspettando. Questa volta cerca di non fare rumore e svegliare così i tuoi genitori. Dai sbrigati! Ho qui un regalo per te...»

Al solo udire la parola 'regalo', Jack si svegliò completamente e scese dal letto. Sempre in punta di piedi percorse il corridoio e le scale fino ad arrivare alla porta della mansarda. Anche questa volta, la porta era aperta. Era la prima volta che Jack entrava in quella stanza: c'era una grossa TV al plasma, una libreria maestosa, un tavolo di vetro con delle sedie, un divano di pelle molto confortevole, uno scaffale con svariati DVD, delle enormi casse per il dolby surround, un mini frigo e dei baulei. Vicino alla TV c'era questo essere di forma umana. Sembrava una bambina, vista anche la sua statura. Era però incredibilmente magra. I capelli le coprivano il viso, lasciando intravedere solamente la parte destra. Il suo occhio con la pupilla completamente nera, dava un senso di inquietudine e tristezza.

«Finalmente... eccoti qua Jack! Io sono Amy, piacere di conoscerti» disse la bambina facendo trasparire un sorriso. Il suo sguardo però, nascondeva tanta tristezza.

«Ciao Amy! Il piacere è tutto mio! Allora, dov'è questo regalo?» disse ansioso Jack.

«Vedo che arrivi subito al punto... ecco qua, tieni». La bambina tirò fuori un pallone da calcio.

«FOOOOOOOORTE!» esclamò Jack dalla felicità.

«So che ti piace il calcio. Perché non facciamo qualche passaggio, ti va?»

«Ma tu sei una femmina, non puoi giocare a calcio!»

«Ah è così che la pensi? Non mi sottovalutare sai!» disse ridendo Amy. Prese la palla e sferrò un violento tiro che colpì lo scaffale dei DVD, facendone cadere molti e provocando un forte rumore. Subito dopo si udì un rumore di passi rapidi e pesanti provenire dal piano di sotto. In pochi secondi comparvero i genitori di Jack davanti alla porta della mansarda.

«JACK! CHE CI FAI TU QUI? CHE DIAVOLO STAI COMBINANDO?» urlò furiosa la madre.

«Come hai fatto ad entrare qui dentro Jack?» domandò il padre visibilmente alterato.

«Non... non è stata colpa mia! È stata lei!»

«LEI CHI?» continuò ad urlare la madre.

«AMY! È stata la mia amica Amy a lanciare il pallone verso i DVD, io non c'entro... lo giuro!» il bambino cercò di difendersi. Nell'udire quel nome, i genitori di Jack si guardarono bisbigliandosi qualcosa, dopodiché rimproverarono Jack e lo riportarono a dormire. Il padre del bambino si assicurò che la porta fosse ben chiusa prima di tornare giù.

Il giorno seguente, Jack fu portato da un particolare dottore specializzato in casi come questo.

«E così tu sei Jack! Mi hanno detto che hai un'amica immaginaria di nome Amy» disse il dottore rivolgendosi al bambino.

«Lei non è immaginaria, lei è una persona in carne ed ossa! Beh, non molto in carne visto che è magrissima... però esiste! Mi ha regalato un pallone e voleva fare qualche passaggio con me. Però una femmina non può giocare a calcio, allora si è arrabbiata e ha tirato la palla contro lo scaffale dei DVD. Non sono stato io, lo giuro!» si difese Jack.

«Capisco... ed ora dove si trova questa Amy?» chiese il dottore.

«Non lo so, solitamente mi chiama la notte chiedendomi di raggiungerla in mansarda. Ed ogni volta che ci vado, trovo la porta della mansarda aperta, non più chiusa a chiave!» rispose Jack.

«Questo non è possibile, tuo padre si assicura sempre che la porta sia ben chiusa a chiave!» disse stizzita la madre di Jack.

«Ma mamma è vero!» replicò il piccolo.

«Ora basta! Non so come tu abbia fatto, ma ti proibisco di entrare ancora una volta lì dentro!»

«Si calmi signora, non è il caso di agitarsi. Il bambino dice di sentire queste voci solo di notte, probabilmente ha un qualche disturbo del sonno. Le prescriverò dei sonniferi così da farlo dormire beatamente senza problemi» disse il dottore. La donna ringraziò e se ne andò, portandosi dietro il bambino.

Quella notte...

«Jaaaaaack... svegliati.... vieni a giocare con me qui in mansarda...»

Jack pian piano si svegliò e le rispose ancora sonnecchiando: «Amy... dopo l'ultima volta che abbiamo 'giocato' insieme mi hanno sgridato... non credo sia una buona idea tornare in mansarda....»

«Ti prometto che questa volta farò la brava... non avevo intenzione di farti sgridare da loro... poi mi sono spaventata e mi sono nascosta... ti prego, dammi un'altra possibilità», Amy stava quasi implorando il piccolo Jack.

«E va bene... mi hai convinto». Jack scese dal letto e, senza far rumore, raggiunse la mansarda dove ad attenderlo c'era Amy seduta sul divano.

«Eccoti qui! Sono veramente felice che tu sia venuto. Ho in mente di fare un gioco calmo e tranquillo.... nascondino! Visto che prima ho parlato di nascondersi...»

«Wow, mi piace un sacco il nascondino! E sono anche fortissimo!» disse Jack entusiasta.

«Bene! Allora visto che sei forte e che la volta scorsa mi sono nascosta io, questa volta ti nasconderai tu. Io conterò fino a 10, mi raccomando trova un bel posto o altrimenti ti troverò subito!»

«Puoi contarci! Chiudi gli occhi ed inizia a contare» disse pieno di entusiasmo Jack.

Amy chiuse gli occhi e, molto lentamente, iniziò a contare.... «Uuuuuuunooooooooooo............ duuuuuuuuuuuuueeeeeeeeee.........»

Jack notò immediatamente i due baulei: ne aprì uno ma conteneva altri DVD ed altri oggetti strani. Fu scartato, avrebbe fatto troppo rumore per svuotarlo e poi, con tutta la roba fuori, sarebbe stato facile capire dove si fosse nascosto. L'altro baule invece, conteneva solo delle coperte. C'era spazio a sufficienza per Jack per nascondervisi e così fece: entrò nel baule e lo richiuse. "Qui dentro non mi troverà mai" pensò, "yawn... che sonno... forse è colpa di quelle strane caramelle che mi ha dato la mamma prima di andare a dormire.... mi riposerò per qualche minuto... tanto non mi troverà mai....". Jack si addormentò su quelle soffici coperte all'interno del baule chiuso ermeticamente.

La mattina seguente....

«Jack alzati che è pronta la colazione. Hai visto che con quelle caramelle sei riuscito a.... Jack? JACK!? DOVE SEI FINITO? JACK! RISPONDIMI!». Entrando in camera di Jack, la donna trovò solamente il letto vuoto. Corse subito in mansarda, ma la porta era chiusa a chiave. Con l'aiuto del marito perlustrarono tutta la casa, ma senza risultato. Decisero quindi di controllare la mansarda. Quando aprirono la porta, grazie alla chiave del marito, trovarono delle coperte fuori da un baule. Si precipitarono quindi ad aprire il baule. Lì, trovarono Jack paonazzo, quasi asfissiato. Corsero quindi all'ospedale, dove riuscirono a salvarlo per miracolo. I due coniugi non si spiegarono come ciò fosse possibile.

«Forse i sonniferi non hanno fatto subito effetto....» ipotizzò la madre.

«Sì ma non riesco ancora a capire come abbia fatto ad entrare nuovamente nella mansarda.... dovrò comprare un lucchetto» disse il padre. Dopo un giorno di osservazione, il piccolo Jack poté tornare a casa. Suo padre comprò un robusto lucchetto che installò sulla porta della mansarda: «Ecco fatto, ora voglio proprio vedere come riuscirai ad entrare» disse l'uomo rivolgendosi al figlio, «con questo lucchetto potrai scordarti la mansarda per un bel po' di tempo».

Quella notte....

«Jaaaaaaaack..... Jaaaaaaack.... »

Jack, aprì debolmente gli occhi e disse: «Amy.... cosa c'è?»

«Volevo complimentarmi con te per aver vinto a nascondino: non sono proprio riuscita a trovarti! Cavolo sei stato bravissimo! Però ora devi darmi la rivincita. Vieni subito qui che facciamo un altro gioco»

«Mi dispiace Amy ma anche volendo non potrei: papà ha messo un lucchetto alla porta e non conosco la combinazione» disse sconsolato Jack.

«Di questo non devi preoccuparti.... tu vieni e basta», tagliò corto Amy.

Il bambino obbedì ad Amy ed andò in mansarda. Stranamente la porta era spalancata: niente lucchetti, niente porte chiuse a chiave. La bambina era lì che lo aspettava, dietro al tavolo di vetro.

«Questa volta giocheremo ad acchiapparella! Tu cercherai di prendermi mentre io scapperò. Ovviamente cercando di non fare rumore o altrimenti si sveglieranno e ci sgrideranno...» disse Amy entusiasta.

«Posso farti una domanda? Quanti anni hai?» chiese Jack.

«Ne ho 12... perché?» rispose interdetta Amy.

«Non sei un po' troppo grande per questi giochi? Anche per me che ne ho 10 acchiapparella è un gioco oramai superato» rispose seccato Jack.

«Beh ma io non ci ho mai giocato e volevo provarlo almeno una volta! Ti prego ti prego ti preeeeegooooooooo» Amy implorò Jack di giocare a quel gioco.

«Uff... e va bene. Ma solo una volta» disse sbuffando Jack.

«Grazie Jack, sei un vero amico!»

Amy corse subito verso la libreria e ci si arrampicò, raggiungendo facilmente la cima.

«Hai praticamente perso, non hai vie di scampo lì sopra!» disse ridendo Jack, sicuro della sua vittoria.

«Sempre se riesci ad arrivare fin quassù» disse Amy in tono di sfida. Il piccolo Jack iniziò a scalare la libreria ma, arrivato quasi in cima, si accorse che qualcosa non andava. La libreria si stava sbilanciando. Fu preso dal panico, ma oramai era troppo tardi: la libreria iniziò a cadere.

Un sonoro tonfo svegliò di soprassalto i due coniugi.

«Cos'è stato?» disse la donna.

«Proveniva dalla mansarda!» urlò l'uomo.

Entrambi scesero dal letto e raggiunsero in fretta e furia la mansarda. L'uomo mise la combinazione.... che però risultò errata. Provo quattro o cinque volte, ma il risultato era sempre lo stesso.

«COM'È POSSIBILE? NON ERI STATO TU A PROGRAMMARE QUEST'AFFARE?» urlò la donna in preda ad una crisi di panico.

L'uomo senza dire nulla corse giù per le scale. Dopo pochi minuti tornò imbracciando un'ascia. Iniziò a sfondare la robusta porta di legno. Dopo una serie di colpi ben assestati, riuscì ad aprire una breccia. I due coniugi entrarono e lo spettacolo che gli si parò davanti fu agghiacciante: la libreria era caduta sul tavolo di vetro, fracassandolo completamente. Da sotto la libreria, spuntava un braccio.

«OH MIO DIO, JACK!» urlò la donna. Entrambi si precipitarono verso la libreria e, a fatica, riuscirono a spostarla, liberando il corpo di Jack da quell'eccessivo peso. Purtroppo però, sulla schiena del povero bambino vi erano conficcati tanti frammenti di vetro: la libreria lo aveva fatto infrangere proprio contro il tavolo di vetro che, frantumandosi, lo aveva infilzato con i vari frammenti. Per il piccolo Jack non c'era più nulla da fare. Forse un intervento tempestivo lo avrebbe potuto salvare, ma così non fu. Sull'enorme TV al plasma vi erano dei graffiti fatti con il sangue: un pentacolo ed una scritta: 'Voi non mi volevate. Ora siamo pari'. Al centro del pentacolo una ricetta medica era attaccata alla TV con del nastro adesivo. Era un documento che riportava i dati di un aborto. La data era di 12 anni fa. La donna alla vista di tutto questo, scoppiò a piangere. L'uomo invece rimase paralizzato dalla paura. E nell'ombra, la piccola Amy osservava la scena in silenzio. Improvvisamente bisbigliò: «Non mi volevate. Diceste che fu un errore, che all'epoca non aveste abbastanza denaro e disponibilità per crescere un figlio. Tutte scuse. Sarebbe bastato fare dei sacrifici, delle rinunce.... ed invece avete deciso di rinunciare a me. In due anni vi siete sistemati: avete trovato un lavoro, una bella casa e vi siete permessi tanti lussi.... perfino un bambino! Il mio piccolo fratellino Jack... devo ammettere che è stato divertente giocare con lui». Un ghigno comparve sulla sua faccia e, successivamente, Amy sparì.

lunedì 29 luglio 2013

Il lupo e la luna

C'era una volta, un bellissimo lupo bianco dagli occhi gialli. Era un esemplare veramente sublime, amato e rispettato dai suoi simili, temuto ed odiato dagli altri animali. Anche se non era il capo del suo branco, veniva comunque trattato con molto più riguardo rispetto ad un semplice lupo, perfino dal capobranco in persona. Aveva gli amici, era circondato dalle 'lupacchiotte' che gli andavano dietro, aveva cibo in quantità.... insomma, aveva tutto ciò che potesse desiderare e viveva un'esistenza felice. Finché.... un bel giorno non si ritrovò da solo a girovagare per le immense praterie cui era solito cacciare col branco. Era sera, tirava una piacevole brezza primaverile che smuoveva appena l'erba e i fiori. Il suo morbido pelo bianco veniva accarezzato da questa brezza, facendogli provare una bellissima sensazione. Si fermò per annusare una margherita dove, sulla sua sommità, vi era una piccola coccinella. L'insetto, accorgendosi del lupo, prese il volo andando via mentre quest'ultimo alzò lo sguardo per seguirla. Fu in quell'occasione che la vide per la prima volta: grande, rotonda, pallida, bellissima.... La luna si palesò davanti a lui in tutto il suo splendore. Il lupo rimase senza fiato a quella vista meravigliosa. Cos'era quell'immensa sfera luminosa in cielo? Perché non l'aveva notata prima? Perché mi sta fissando? Nella testa del lupo cominciarono ad accavallarsi tante domande; domande che ben presto lasciarono spazio ad un unico desiderio: quello di poterla toccare. Desiderava stare quanto più vicino a quella bellissima sfera che l'aveva rapito completamente. Cercò quindi un qualcosa che gli permettesse di elevarsi da terra e di raggiungere quindi l'oggetto tanto desiderato. Purtroppo riuscì a trovare solamente una rupe abbastanza alta. Ci si arrampicò con fretta e furia, ma una volta in cima si accorse di essere ancora molto lontano dalla luna. Provò ad allungare una zampa, ma l'agitò a vuoto invano. Da quel momento, il suo atteggiamento cambiò radicalmente: cominciò ad allontanarsi dagli amici, ad allontanare le varie pretendenti, rinunciò perfino di mangiare pur di vedere quello spettacolo bellissimo nel cielo stellato. Vide la luna in tutte le sue fasi, da quella crescente fino a quella calante ed il suo amore per essa non calò minimamente. Amava la luna, l'amava dal profondo del suo cuore. Avrebbe fatto di tutto pur di poterla raggiungere e stare finalmente insieme. Ma purtroppo, la realtà era ben diversa e ben presto se ne accorse. Cominciò a diventare triste, depresso e scontroso. Venne allontanato definitivamente dal branco, perse la voglia di cacciare, il suo corpo si stava poco a poco ammalando e la sua bellezza era oramai perduta. Riusciva comunque a procacciarsi del cibo durante il giorno per arrivare alla notte, orario in cui poteva vedere la sua amata. Una sera, mentre provava ancora invano ad allungare la zampa per raggiungere la luna, i suoi occhi iniziarono a lacrimare e fece una cosa che nessun lupo ebbe mai fatto prima: iniziò ad ululare. Un lungo ululato carico di tristezza e disperazione. Un ululato così cupo e spaventoso che allarmò gli altri animali nei dintorni, compreso il suo vecchio branco. Continuò ad ululare per ore ed ore finché, esausto, non si accasciò a terra. "Perché mi guardi da lassù ma non vuoi raggiungermi?" Questa fu la sua ultima domanda prima di chiudere per sempre gli occhi. I suoi vecchi compagni lo raggiunsero ma era oramai troppo tardi. Iniziarono quindi anche loro ad ululare. Da quel momento in poi, i lupi presero l'abitudine di ululare quando sono tristi, disperati o vittime di un evento particolarmente tragico. Gli altri animali invece, percepiscono questo come un qualcosa di minaccioso e ne stanno quindi alla larga. Poveri 'lupi solitari', senza nessuno che li consoli.

martedì 23 luglio 2013

Il binario in costruzione

Uff... dura la vita della trave di ferro: stai fermo tutto il giorno finché non decidono di sballottarti da qualche parte e metterti insieme ad altri attrezzi. E lì aspetti di venir sballottato nuovamente o venir finalmente usato per qualche costruzione. Una vita abbastanza noiosa, salvo rare occasioni in cui puoi fare degli incontri davvero interessanti. Per esempio una volta ho incontrato un martello di nome Marty, un tipetto tutto sommato simpatico anche se non la smetteva un attimo di parlare.... era 'martellante'... Altre volte mi sono ritrovato vicino ad un secchio pieno di chiodi ed un martello pneumatico: i chiodi non la smettevano di piangere, mentre il martello cercava in tutti i modi di zittirli, ma senza successo. Poi c'è stata la volta di quel gruppo di travi... e chi se la scorda più! È dove ho incontrato lei.... Travina, una trave di ferro dai bulloni favolosi! Ammetto che inizialmente ero timido e nervoso, non mi ero mai trovato vicino ad una trave... come dire... diversa! Qualcosa in me si smosse, provavo sensazioni mai provate prima. E così, molto timidamente, provai un primo approccio...

«...c-c-ciao...», dissi con molto imbarazzo, ma non ricevetti alcuna risposta. Non mi ha sentito o semplicemente mi stava ignorando? «...C-C-CIao....» riprovai con un po' più di convinzione.

«Hai detto qualcosa Mark?» disse lei rivolgendosi al vicino sacco di cemento, sentendosi rispondere con un «No, non ho detto nulla. Forse è il mio stomaco che brontola, desideroso di acqua»

«....CIAO!» dissi ad alta voce. Tutti si girarono, facendomi sprofondare in un terribile disagio.

«Hey, mi sa che questo ce l'ha con te Travina» disse un piccone. Sentendo il suo nome, già me ne innamorai.

«Sei tu prima che mi stavi chiamando? Scusami, non ti avevo sentito a causa del rumore del martello pneumatico». Finalmente mi rivolse la parola, ed io non riuscii a dirle niente di sensatamente accettabile: «A-a-a-h, f-f-figurati, a-anche a m-me f-fanno m-male le o-orecchie». Solo dopo che tutti scoppiarono a ridere, capii di aver appena fatto una misera figura.

«Figliolo, parti col piede sbagliato per rimorchiare Travina», un martello si rivolse a me prendendomi in giro.... divenni così rosso che sembravo fresco fresco di fiamma ossidrica.... beh si fa per dire!

«Sei diventato tutto rosso, ti stai per caso fondendo al sole?» mi disse lei, con la sua voce soave.

«N-n-n-o NO!» ero completamente nel panico, non sapevo proprio cosa dire.

«Ragazzi, ho bisogno di 5 sacchi di cemento, 3 martelli, 2 picconi, un martello pneumatico con un secchio di chiodi e 24 travi, E NE HO BISOGNO ORA!». Il capo cantiere sbraitò contro gli altri operai che vennero verso di noi e presero molti degli attrezzi nei paraggi. Fortunatamente io e Travina fummo risparmiati e rimanemmo soli.

«Se ne sono andati via tutti eh?» dissi sicuro di me. Ogni sorta di insicurezza ed imbarazzo sparirono dal momento in cui rimanemmo soli.

«Come mai così spavaldo ora?» disse lei senza distogliere lo sguardo dal cielo

«Beh, perché non ci sono più i tuoi amici che mi prendono in giro, quindi posso parlare liberamente»

«E non hai paura che IO ti prenda in giro?»

«P-perché d-d-dovresti?». Sentivo il panico che stava riaffiorando.

«... stavo solo scherzando, rilassati» mi rispose accennando un sorriso.

«Perché sembri così distaccata?» chiesi un po' titubante.

«Non sembro, io SONO distaccata. Hai idea di cosa stiano costruendo qui? A cosa serviamo noi qui?». Sembrava leggermente alterata. Io non ne avevo la più pallida idea. «Qui sono in corso dei lavori per costruire una ferrovia, hai idea di cosa sia? Due linee parallele, destinate a non incontrarsi mai. MAI! Capisci? Avere un legame significherebbe soffrire per l'eternità ed è proprio la cosa che voglio evitare. Così mantengo le distanze con tutti». Era veramente molto seria, faceva quasi paura. Volevo stare con lei, donarle il mio amore e ricevere il suo, ma questa cosa dei binari paralleli mi spaventava terribilmente. Come avrei potuto vivere nel vederla sempre davanti a me, senza mai raggiungerla? Sarebbe stata una sofferenza troppo grande.... Dovevo fare qualcosa... ma cosa?

«DAVE! PORTAMI QUELLE DUE TRAVI LI' DA SOLE, DAI CHE DOBBIAMO FINIRE QUESTO PUNTO ESSENZIALE!». Un operaio urlò contro un altro e quest'ultimo si avvicinò pericolosamente a noi due. La nostra avventura era già finita? Dovevamo già divenire parte dei binari? NO, NON VOGLIO! FERMATI, NON SIAMO ANCORA PRONTI! CI SIAMO APPENA CONOSCIUTI, ALLONTANATI TI PREGO! Ti prego... non è giusto....


Sono passati già 5 anni da quando quell'operaio ci prese e ci fissò per farci diventare parte del binario.... beh, fissare non è il termine corretto, eheh. Eccolo che arriva...

«AMOREEEE STO ARRIVANDOOOO!» dissi col cuore pieno di gioia.

«Uff, sempre a fare l'esibizionista tu, ci siamo abbracciati nemmeno cinque minuti fa!»

«Sì ma ogni volta è una gioia infinita! Ecco che scatta lo scambio e....». Io e Travina siamo stati fissati all'altezza di uno scambio: in questo modo, ogni volta che passa un treno per determinate direzioni, lo scambio scatta ed io posso stare qualche minuto vicino a lei. Fortunatamente di treni ne passano a bizzeffe e non passa molto tempo tra.... un abbraccio e l'altro! Lei fa tutta la dura, ma sotto sotto so che anche lei è pazza di gioia. Infatti ogni volta che qualche treno è in ritardo o c'è qualche sciopero, lei se ne esce sempre dicendo 'stupidi treni', cosa che mi fa quasi commuovere.

Spero che tutti, prima o poi, possano avere la fortuna che abbiamo avuto noi due.

lunedì 15 luglio 2013

I Tre Demoni Bianchi - COMPLETO

In questo post racchiuderò tutti i link ai vari capitoli così da averli sempre sotto mano anziché andarli a cercare ^^

Capitolo 1: Le tre sorelle

Capitolo 2: Il viaggio

Capitolo 3: Il villaggio maledetto

Capitolo 4: Il grande problema di Tamuril

Capitolo 5: Il primo amore

Capitolo 6: Il maleficio

Capitolo 7: La foresta millenaria

Capitolo 8: Il nemico

Capitolo 9: La trappola

Capitolo 10: Ricordi

Capitolo 11: La grande capitale Cornelia

Capitolo 12: La spedizione

Capitolo 13: L’uomo misterioso

Capitolo 14: La dimora dei draghi

Capitolo 15: Le tre prove

Capitolo 16: La scelta

Capitolo 17: Verità

Capitolo 18: Addii

I Tre Demoni Bianchi - capitolo 18 - EPILOGO

CAPITOLO 18: ADDII

La terra iniziò a tremare.

Titania: «Ops forse mi sono scatenata un po' troppo ed il vulcano si è risvegliato prima del previsto. Presto, dobbiamo uscire da qui». Titania prese Leonora con un braccio e Kate con l'altro. «Uhm, ed ora dove sarà l'uscita? Mah, proviamo da dove è arrivata Kate»


Gannor: «Prima gli scheletri ed ora il terremoto.... qualcos'altro?»

Redent: «Però non mi spiego come mai questi scheletri abbiano smesso di colpo di combattere.... cosa sarà mai successo?»

Mocher: «Che ti importa? L'importante è che stiano buoni buoni e ci rimangano! Non farti troppe domande»

Genji: «Chissà come stanno i miei deliziosi fiori di Loto.... aahhh cari boccioli in questo inverno gelato, attendete la vostra primavera per esprimere la vostra bellezza!»

Dynn: «Per caso hai preso uno dei miei sigari?»

Improvvisamente il muro di fronte a loro crollò, facendo esordire Titania e le altre nella stanza.

Mocher: «Titania! State bene ragazze!»

Redent: «Che cosa è successo? Cos'hanno Kate e Leonora?»

Titania: «Non c'è tempo per discutere, dobbiamo uscire di qui! Il castello è stato costruito sopra un vulcano che sta per eruttare, non abbiamo molto tempo!»

Gannor: «Sentito gentaglia? TUTTI FUORI!»

Il gruppo corse verso la porta per uscire da quella stanza, ma Titania continuò ad andare dritta.

Redent: «Titania dove stai andando? L'uscita non è lì!»

Titania: «Non ce la faremo mai prendendo l'uscita ordinaria.... meglio crearsi un varco tra le mura!». Detto questo, andò contro un muro, facendolo crollare con una singola testata, proteggendo accuratamente le sorelle.

Mocher: «Wow.... è magnifica!»

Gannor: «Presto, seguiamo tutti Titania!»

Il gruppo si era così diviso: Titania davanti che frantumava muri e gli altri dietro che la seguivano, sfruttando i passaggi che creava. «Secondo i miei calcoli, questo dovrebbe essere l'ultimo!» disse la ragazza, frantumando l'ultimo muro e venendo baciata dalla luce del sole.

Mocher: «Siamo fuori!»

Genji: «Ah, mio purissimo fiore di Loto, è solo grazie a te se siamo salvi e...»

«Io fossi in voi mi allontanerei, un'eruzione copre una vasta area» disse Titania dalla distanza.

«WWWAAAAAA» tutto il gruppo si allontanò più in fretta che poté. Pochi secondi dopo, il vulcano eruttò, inghiottendo il castello e tutto ciò che fosse al suo interno.

Mocher: «CE L'ABBIAMO FATTAAAAA!»

Dynn: «Calma sorella, non sappiamo ancora se la missione sia stata completata»

Titania: «Sì, la missione è completa. Grazie a tutti per la collaborazione»

Redent: «È stato un vero piacere! Senz'altro un'esperienza interessante, ho imparato diverse cose e mi sono pure divertito»

Gannor: «Ma se non hai fatto altro che scappare e farti salvare il culo da noi, ahahah!»

Redent: «BEH ANCHE SCAPPARE È UNA FORMA DI DIVERTIMENTO!»

Ci fu una risata generale.

«Kate..... Kate....», Leonora si era ripresa e stava singhiozzando in ginocchio sopra al corpo disteso di Kate.

Titania: «Leonora ti sei ripresa! Cosa c'è che non va? Kate non si è ancora svegliata?»

Leonora: «Kate.... Kate.... KATE NON POTRA' PIU' SVEGLIARSI TITANIA!»

Calò un improvviso silenzio.

Titania: «Ti sembra il momento di scherzare? Basterà lasciarla riposare un altro po' e vedrai che tornerò come pr..»

Leonora scoppiò in lacrime: «KATE È MORTA, TITANIA! NON POTRA' TORNARE PIU' COME PRIMA, MAI PIU'!»

Titania: «.... non.... non capisco....»

Redent si avvicinò al corpo della piccola Kate e controllò il polso: «Ha ragione Leonora.... Kate non c'è più, il suo cuore non batte....»

Titania: «Kate... perché....»

Leonora continuava il suo pianto irrefrenabile.

Redent: «Povera ragazza.... morire così giovane...»

Gannor aveva anch'egli le lacrime agli occhi: «No Kate... povera piccola Kate...»

Mocher: «Che mestiere orribile che ci siamo scelti...»

Dynn: «Questa è la vita, non sai mai quando la tua miccia si esaurisca»

Genji: «Piccolo dolce fiore di Loto... riposa per sempre in pace nel giardino paradisiaco dove sarai il fiore più bello di tutti....»

Titania: «Kate....»

Redent: «Andiamo Titania, diamole una giusta sepoltura e...»

Titania: «Voglio portarla a casa»

Redent: «Come?»

Titania: «Voglio che sia seppellita a casa nostra, vicino alla tomba di nostra madre»

Redent: «Capisco.... se vuoi posso farla adagiare sul mio cavallo ed io andare a piedi, assicurandomi che non cada»

Titania: «Lei ha già un cavallo». La ragazza fischiò ed i tre destrieri accorsero immediatamente. Diablo si accorse subito che qualcosa non andava e si fermò a metà strada. Avvicinandosi notò il corpo di Kate disteso a terra. Si avvicinò quindi a Titania e vi appoggiò la fronte come segno d'affetto. «Grazie Diablo...». Fenrir cercava di consolare Leonora ma senza successo: la ragazza non smetteva di piangere. Luna invece cercava in tutti i modi di risvegliare la sua padroncina.

«HHHHIIIIII HHHHHIIIIII» urlava, ma Kate rimaneva lì per terra, immobile. Diablo allora andò da Luna e nitrì in modo brusco. La cavalla capì e.... versò qualche lacrima. Il corpo di Kate venne adagiato su di Luna ed il gruppo si mosse. Luna marciava in modo da non far cadere il corpo della padroncina. Arrivati a Cornelia, il gruppo si sciolse. La legione speciale tornò sotto le direttive di re Garonius III, mentre Titania e Leonora proseguirono verso casa, portando il corpo di Kate con loro.

Gannor: «Ragazze... non sapete quanto mi dispiaccia...»

Mocher: «Titania... sii forte»

Dynn: «Fatevi coraggio, non lasciatevi scoraggiare dall'accaduto»

Genji: «Volete che vi accompagni?»

Titania: «Non serve, grazie dell'offerta»

Redent: «Beh ragazze, buona fortuna. Spero di rivedervi un giorno»

Le sorelle si separarono dal gruppo. In città incontrarono casualmente Endo.

Endo: «Eilà Demoni Bianchi! Come state? Sempre in giro in cerca di qualche missione da portare a termine? Non vedo la piccola Kate, dove si trova? Scommetto che è insieme a Marcus da qualche parte a sbaciucch...»

«CHIUDI QUELLA BOCCA!», l'urlo di Titania spaventò la gente di Cornelia. Luna passò davanti ad Endo mostrando il corpo senza vita della povera Kate.

Endo: «Kate... povera piccola.... cosa le è successo?»

Titania: «Per farla breve: Marcus era un poco di buono, ci ha teso una trappola e Kate ha perso la vita»

Endo: «.... capisco. Mi sento in parte responsabile, posso fare qualcosa per voi? Qualsiasi cosa»

Titania: «Non c'è niente che tu o chiunque altro possa fare»

Endo: «Mi dispiace veramente tanto.... fatevi forza»

Titania proseguì senza dire nulla, seguita da Leonora che aveva ricominciato a piangere. Arrivarono a Tamuril, dove ad attenderle c'era Tolomeo.

Titania: «Cosa ci fate qui, sire?»

Tolomeo: «Menémago ha avuto una visione....», il re vide il corpo di Kate sopra Luna, «ho sperato con tutte le mie forze che si fosse sbagliato, ma purtroppo così non è stato..... mi dispiace veramente tanto»

Titania: «È tutto? Avremmo un po' di fretta»

Tolomeo: «No, non è tutto. Ho fatto costruire questa apposta per la piccola Kate. Voglio che la prendiate». Il re batté le mani e delle guardie portarono una bara completamente bianca.

Titania: «.... vi ringrazio dal più profondo del cuore, mio re». La ragazza prese in spalla la bara ed il gruppo proseguì.

Giunsero quindi nel piccolo villaggio di Calladio, dove incontrarono casualmente Ogretto ed i suoi, intenti ad aiutare gli abitanti del villaggio con lavoretti e quant'altro.

Ogretto: «TITANIA!», non appena la vide, l'orco si fiondò verso di lei: «Cosa fare tu qui? E perché trasportare bara? Dove essere tua bella armatura bianca?»

Titania: «Non è il momento Ogretto...». L'orco notò il corpo di Kate su Luna e, con difficoltà, capì cosa fosse successo. Si avvicinò a Titania e poggiò la sua fronte contro quella della ragazza, dicendo: «Tu forte. Tu no debole. Tu resiste»

Titania allontanò con una spinta l'orco e, passandogli accanto, disse: «Grazie....»

Il gruppo proseguì, passando per Garlant e poi di nuovo verso le praterie che circondavano il feudo. Cavalcarono, cavalcarono e cavalcarono ancora, fino ad arrivare lì.... Qualche maceria era ancora rimasta. Vicino, c'era ancora la tomba della madre. Titania scese da cavallo e cominciò a scavare a mani nude la terra, vicino alla tomba. Leonora le diede una mano con difficoltà visto che non smetteva di piangere. La fossa era pronta. Titania prese delicatamente il corpo di Kate e lo adagiò nella bara. Entrava alla perfezione. Leonora era in lacrime sopra di lei, bagnandole tutto il suo giovane viso.

Titania: «Leonora... adesso basta». La sorella si allontano, ma non la smetteva di singhiozzare. Titania asciugò il dolce viso di Kate e le diede un ultimo bacio sulla fronte, bisbigliando: «Addio sorellina....». Chiuse la bara sigillandola e la poggiò delicatamente nella fossa, cominciando a ricoprirla. Ora le due tombe erano vicine, entrambi aventi una croce fatta con un paio di legnetti. Quella di Kate era più piccola rispetto a quella di Venera. Le due ragazze rimasero lì davanti a fissare le tombe. Iniziò a piovere. Una pioggia pesante e triste, come se anche il cielo volesse esprimere il suo dolore. Leonora poggiò sulla tomba di Kate un fiore di gelsomino.

Leonora: «Era il suo fiore preferito.... non so perché... ma... le piaceva.... tanto....», cominciò a piangere.

Titania: «Perdonami.... mamma.... Non sono riuscita.... a mantenere... la promessa... che ti ho fatto....», cominciò a singhiozzare. «Ti promisi che.... non avrei più pianto.... e che... avrei protetto.... le mie sorelle.... ma.... non ce l'ho fatta....». Un fulmine cadde nelle vicinanze, coprendo con il suo rumore l'urlo di dolore e disperazione lanciato da Titania. La ragazza si lasciò finalmente andare e scoppiò in un pianto disumano. «PERDONAMI.... MAMMA.... ED ANCHE TU KATE... PERDONATEMI....». Leonora abbracciò Titania ed insieme piansero per tutta la notte, rimanendo abbracciate. Questa fu la prima sconfitta dei Tre Demoni Bianchi.






Nei sotterranei del castello di un luogo remoto, delle persone dall'aria tetra, stavano confabulando intorno ad un tavolo rotondo di pietra, con su incisa una 'X'.

N° 2: «Marcus è stato sconfitto, non è stato all'altezza del compito»

N° 5: «C'è da dire però che è riuscito ad eliminarne una, seppur quella più debole»

N° 7: «È comunque qualcosa... ora le altre due saranno distrutte, è il momento di intervenire!»

N° 8: «Non sono d'accordo, se intervenissimo ora rischieremo solo di avere delle perdite, la maggiore è una furia! Avete visto tutti come ha ridotto Marcus»

N° 3: «Abbiamo fatto bene a fidarci di Marcus? Insomma, era giovane ed inesp...»

N° 9: «Anche se era giovane, era comunque un 'Arcanico'! Ha fatto tutto il possibile e possiamo ritenerci soddisfatti del risultato ottenuto. Tu cosa ne pensi N° 10?»

N° 6: «Ehm, Capo, diciamo a te»

Un uomo indossante una maschera grigia con una 'X' disegnata sopra e 10 cerchi concentrici ruotò la sedia cui si trovava sopra e prese parte alla conversazione: «Il N° 1, Re Marcus del regno di Matango, signore dei draghi e Arcanico dell'Illusione è stato sconfitto. C'è però da dire che ha dato un grande contributo alla nostra causa, eliminando il Demone Silente, Kate L'Eterea. Per adesso lasciamo che le acque si calmino. Successivamente ho deciso che invierò il N° 4 in missione per eliminare i restanti Demoni Bianchi. Che ne dici Lucius, te la senti?»

N° 4: «Ma cerrrrrto, mio sssssignore» disse facendo schioccare la sua lingua biforcuta, passando per un buco sulla sua maschera»

N° 10: «Eccellente! Posso dichiarare sciolta la riunione speciale degli Xircles. Ci rivedremo qui tra un mese esatto a partire da oggi!»

«LODE A XIRCLES!»

FINE

I Tre Demoni Bianchi - capitolo 17

CAPITOLO 17: VERITÀ

La terribile verità si palesò davanti a Kate: Marcus, l'uomo che amava, l'uomo di cui si fidava ciecamente, l'uomo per il quale è andata contro i suoi principi e le sue promesse.... è anche l'uomo che ha tentato innumerevoli volte di ucciderla. Era lì che la fissava, con un ghigno compiaciuto. La povera Kate era distrutta dal dolore. Avrebbe voluto piangere, far uscire tutto il dolore che aveva dentro.... ma non versò nemmeno una lacrima. Solo dopo qualche minuto, con un filo di voce, riuscì a bisbigliare: «.....Perché?»

Marcus: «Mia cara Kate, vuoi sapere perché tutto questo? Ti accontento subito!»

Titania: «Kate, cosa sta succedendo? Perché ti sei come pietrificata di colpo? Chi è questo fantomatico signore del castello?»

Leonora: «È qualcuno che conosciamo per caso?»

Marcus: «Fate silenzio! Sto parlando con la mia ragazza, eheheh»

Titania: «.... tu.... TU PREGA IL TUO DIO CHE IO NON DEBBA USCIRE VIVA DA QUESTA GABBIA!»

Marcus: «Oh, ma guardala, la sorellona si è arrabbiata.... mi dispiace Kate, ma credo che tra noi sia finita, tua sorella non approva...uhuhuh»

Leonora: «SAI CHE QUANDO USCIREMO TU LA PAGHERAI CARA? FARESTI MEGLIO A DISSOLVERTI ORA CHE SEI ANCORA IN TEMPO!»

Marcus: «SILENZIO! Per rispondere alla tua domanda Kate... perché mi chiedi? Semplice! Io faccio parte di una setta i cui membri sono persone importanti o comunque con un certo spessore. Queste persone, me compreso, sbrigano degli affari, leciti o no che siano, e molte volte questi sono andati a rotoli per l'intervento di VOI DEMONI BIANCHI! Un esempio? IL DRAGO DI GARLANT! Quel drago avrebbe costituito una risorsa importante: feudi che avrebbero pagato ogni genere di fortuna pur di averlo vivo o di avere qualche sua zanna o la sua pelle pregiata... Ecco perché mi trovavo lì a Garlant, ero stato incaricato di catturare quel drago vivo! Ma sono arrivato troppo tardi... voi tre l'avevate già ucciso, tagliandogli la testa e facendo quindi decomporre il resto del corpo! Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.... ed allora ho avuto l'ordine di farvi fuori. Inizialmente non sapevo proprio che pesci pigliare.... poi ci siamo incontrati e da lì è scaturito tutto! Sul piano fisico sono svantaggiato è innegabile, quindi avrei dovuto uccidervi usando l'astuzia: come prima cosa ho messo del veleno nella borsa con la carne quando ti ho aiutato a raccoglierla da terra perché ti ero venuto 'accidentalmente' addosso e ti avevo fatto cadere. Lì ho visto nei tuoi occhi un certo interesse verso di me... che gran colpo di fortuna! Avevo fatto colpo su uno dei Tre Demoni Bianchi, era un'occasione d'oro che non potevo lasciar sfumare. Quindi cominciai a recitare la parte del bravo ragazzo, gentile, educato, dolce e romantico. È stata dura..... ma il lavoro è lavoro! Purtroppo il piano non ha funzionato, quella maledetta di Titania si è accorta del veleno e vi ha fermato in tempo... non che sperassi in una vittoria così facile, non mi sarei divertito! Essendo voi dei mercenari, siete obbligate a viaggiare molto per trovare qualche lavoro da fare e guadagnare qualcosa per vivere... mi serviva quindi una copertura, un qualcosa che mi facesse viaggiare in giro per il continente ed aumentare quindi la possibilità di incontrarvi.... ed ecco che entra in gioco la Compagnia di Endo! Una Compagnia atta al commercio che si sposta da un feudo all'altro, da un villaggio all'altro, da un capo all'altro del continente! In questo modo potevo tenere sotto controllo i vostri movimenti, senza risultare sospetto. Arriviamo quindi al villaggio di Adumio: un villaggio maledetto... un villaggio CHE NON ESISTE! L'intero villaggio era frutto della mia magia illusoria, abitanti compresi! Siete cadute nella mia illusione e speravo che potesse impietosirvi la storia del povero villaggio maledetto, facendovi così abbassare la guardia... MA NO! Voi siete più spietate di quanto pensassi! Avete annientato tutto il villaggio senza il minimo risentimento, credendo di annullare la 'maledizione'.... avete semplicemente fatto una strage! Che poi 'strage'.... avete solo ucciso delle illusioni che, per quanto verosimili fossero, rimanevano comunque illusioni. Quindi siete andate oltre, arrivando a Tamuril. Qui il re vi manda a combattere un gruppo di orchi... chissà come mai questi orchi sono così aggressivi, vero? Chi sarà mai quel cattivone che ha lanciato l'INSANIA VENA su quel gruppo di stupidi orchi? Ma ovviamente il sottoscritto! Pensavo che gli orchi potessero seriamente fermarvi.... ma quella maghetta da strapazzo conosceva quell'incantesimo! Quello è un incantesimo ancestrale.... mi domando chi sia stato il vostro mentore.... ma non importa. Riuscite a cavarvela anche questa volta. Ed allora decido che è meglio prendervi singolarmente... prendendo quella più debole: tu piccola Kate! Ti ricordi di quella serata passata insieme in quella foresta? E ti ricordi anche di quando ti ho passato la mano tra i capelli? È in quel preciso momento che ti ho messo addosso il maleficio! Non è stato un effetto dell'INSANIA VENA, IO TI HO LANCIATO QUEL MALEFICIO! Hai abbassato le difese, credendoti al sicuro ed io ne ho approfittato. Credevo che oramai fosse fatta.... MA NO! VOI SIETE RIUSCITE A TROVARE DELL'ERBA DI RABANASCO E CURARE IL MIO ANTICO MALEFICO! UGH QUANTO MI MANDATE IN BESTIA, DANNATI DEMONI BIANCHI!...... Ma non importa.... andiamo avanti. La scaltra Titania aveva capito che c'era qualcuno dietro tutte quelle disgrazie, acuta osservazione! Decidete quindi di tendermi una trappola.... povere sciocche: credevate davvero che sarebbe bastato sbandierare ai quattro venti che volevate sconfiggere lo Sfingeleone per mettere in trappola il misterioso sicario? Avete peccato di superbia e ne avete pagato le conseguenze! È stato così facile mettere quello scorpione dorato vicino a Kate e fare in modo che la pungesse. Ma siete riusciti a cavarvela anche qui..... non so davvero come ci riusciate! Ero in crisi, non sapevo più che pesci pigliare... poi Endo mi disse che dovevamo passare per le terre di Mystole, che ghiotta occasione! Grazie alla mia magia ancestrale riuscii ad evocare un demone dall'intramondo cui era stato esiliato, un valido alleato devo dire, forse un po' troppo chiacchierone.... stava per rivelarvi il mio nome! L'ho dovuto eliminare prima, annullando il contratto di evocazione e rispedirlo nuovamente nell'intramondo. Però quando riuscì a prendere il controllo di Titania ci ho quasi sperato.... ma sempre quella maghetta si è messa in mezzo tirando fuori una magia evocativa fuori dal comune! Adramelech il Custode.... e chi se lo sarebbe mai aspettato! Avete sconfitto il demone e sapevate l'ubicazione della mia dimora.... non potevo rischiare di farmi trovare fuori casa, che maleducato sarei stato? Quindi sono andato a Cornelia ad avvisare il re ed inviare una squadra di soccorso, mentre io mi diressi a Matango. Ed eccoci qui: avete sconfitto i miei tre draghi, superato le mie prove.... questa è la conclusione di tutto, IL GIOCO FINALE! Sono riuscito a mettervi alle strette, qui qualcuna dovrà per forza morire, ohohohoh! Sono proprio curioso di vedere come andrà a finire, uhuh. E questo è quanto»

Kate era lì ferma. Aveva ascoltato tutto, ma non riusciva ancora a crederci. Tutto quello che poteva dire era: «Perché.... Marcus?»

Marcus: «Ma te l'ho appena spiegato! Non farmelo ripetere di nuovo, ho la gola secca....»

Kate: «Perché.... tutto questo? Io ti amavo.... ti amavo dal profondo del mio cuore.... avrei voluto vivere una vita felice e spensierata al tuo fianco.... ed invece hai rovinato tutto...»

Marcus: «Mi dispiace, sono una persona orribile... hai tutto il diritto di odiarmi.... sono sicuro che troverai un ragazzo che saprà....ppppfffAHAHAHAHAH NO SCUSAMI NON RIESCO A RIMANERE SERIO, AHAHAHAH»

Titania: «KATE, PUGNALA ME COSI' LEONORA SARA' LIBERA E POTRA' CURARMI COSI' UNA VOLTA CHE MI SARO' RIPRESA ANNIENTERO' QUELL'INDIVIDUO!»

Leonora: «NO KATE, PUGNALA ME COSI' TITANIA SARA' LIBERA DI ANDARE A MASSACRARE QUEL RIFIUTO MENTRE TU POTRAI CURARE LE MIE FERITE»

Marcus: «AHAHAH SIETE UNO SPASSO, DAVVERO!», il ragazzo buttò a terra la maschera che aveva in mano: «Ma ora basta scherzare.... KATE, PRENDI UNA DECISIONE! NON CE LA FACCIO PIU' AD ASPETTARE, VOGLIO VEDERE CHI UCCIDERAI DELLE TUE SORELLE!»

Titania: «KATE, SCEGLI ME!»

Leonora: «NO KATE, SCEGLI ME!»

Kate: «SILENZIO!». L'urlo della ragazza risuonò in tutta la stanza. La giovane guerriera cominciò a togliersi l'armatura.

"Ma che sta facendo?" si domandò Marcus.

Prese la sua pettorina e la lasciò cadere a terra, producendo un rumore assordante e delle lievi crepe sul pavimento.

"Ma... quanto pesava quella cosa?", Marcus era sbalordito che una ragazzina, così giovane per giunta, trasportasse quel peso ingente. Kate si tolse anche le altre parti, facendole cadere sempre a terra, generando rumori più o meno forti a seconda del peso di ogni singolo pezzo, compreso tra i 10 e i 50 kg. Fece cadere anche il suo arco e la faretra con le poche frecce rimaste. Ora era completamente indifesa, aveva addosso solo pochi indumenti leggeri per coprirla. Prese il coltello dall'altare, si girò verso Marcus e se lo puntò al cuore: «Io ti ho donato il mio cuore tutto.... e tu l'hai calpestato senza ritegno.... la mia vita non ha più senso oramai....»

Titania: «KATE, POSA IMMEDIATAMENTE QUEL COLTELLO!»

Leonora: «KATE, SMETTILA! TROVEREMO UNA SOLUZIONE, MA POSA QUEL COLTELLO!»

Kate guardò prima Titania e poi Leonora. Delle lacrime rigarono il suo viso: «Mi.... mi dispiace sorelle mie.... non avrei mai voluto.... coinvolgervi in tutto questo.... non voglio che paghiate per gli errori che io stessa ho commesso.... il mio cuore, oramai inutile, verrà almeno utilizzato un'ultima volta per salvare la vita delle mie due sorelle... Titania.... Leonora.... grazie per esservi presa cura di una stupida come me.... Addio»

«KATE NO!» urlarono le ragazze all'unisono.

Kate affondò il coltello nel suo petto, spingendolo sempre più in profondità, finché non cadde con il corpo all'indietro, finendo sull'altare sacrificale. Il sangue stava cominciando a sgorgare ed a finire sull'altare. Titania e Leonora cercarono in tutti i modi di liberarsi, ma era tutto inutile.

"Non pensavo arrivasse a tanto...." si disse tra sé e sé Marcus.

L'altare era pieno di sangue e l'incantesimo fu annullato: le gabbie si aprirono e le catene magiche furono spezzate. Titania e Leonora erano finalmente libere.

Titania: «Leonora, prenditi cura di Kate. Fai tutto il possibile per salvarla. Io ho una questione da sistemare»

Leonora: «Farò tutto ciò che è in mio potere. Non avere pietà»

Titania: «Ho appena dimenticato il significato di quella parola». La ragazza cominciò a togliersi anch'essa l'armatura. Prese la sua corazza e la fece cadere a terra: l'oggetto cadde ad una velocità incredibile, distruggendo un pezzo di pavimento non appena toccò il suolo e generando una voragine.

"Q...quanto pesava?!", Marcus era visibilmente preoccupato.

Anche gli altri pezzi erano abbastanza pesanti, variando tra i 50 ed i 100 kg. La ragazza si sgranchì le ossa, impugnò lo spadone con la mano destra dicendo: «Però, non lo sento nemmeno». Rivolgendosi a Marcus disse: «Avresti dovuto togliermi anche lo spadone, questo errore velocizzerà la tua fine»

Marcus: «Tsk, credi di farmi paura? La mia barriera è impenetrabile!»

Titania lanciò il suo spadone in direzione di Marcus.... era talmente veloce che distrusse istantaneamente la barriera di Marcus, passando vicino al viso del ragazzo e conficcandosi nel muro alle sue spalle. Un piccolo taglio sulla guancia fece cadere un rivolo di sangue sul viso del ragazzo. Marcus era interdetto. Titania fece uno scatto ed in pochi istanti arrivò davanti al ragazzo: il suo sguardo era quello di un temibile demone adirato. Afferrò Marcus per il collo e lo lanciò verso il soffitto... sbattendolo contro! Del sangue uscì dalla bocca del ragazzo. Quando scese, la ragazza lo colpì con un calcio, facendolo finire ancora una volta sul soffitto, questa volta in maniera più violenta e crepandone dei pezzi che caddero al suolo.

Durante la caduta, Marcus urlò: «NON CREDERE DI AVER VINTO: MURUS ADAMAS!». Un imponente muro di diamanti ricoprì completamente il mago: «QUESTO TI SCHIACCERA' INESORABILMENTE, AHAHAH!». Ma Titania non si scompose, tirò indietro il pugno e, non appena il muro fosse abbastanza vicino, colpì fortemente trapassandolo e, contemporaneamente, afferrò Marcus per il collo, trovandosi dietro al muro di diamanti. L'effetto dell'incantesimo terminò, facendo scomparire il muro. Titania tirò a se il giovane mago, fissandolo negli occhi.... ma Marcus schioccò le dita e si teletrasportò a pochi metri di distanza. «Quindi è grazie alle mani che puoi spostarti così velocemente....». Il mago iniziò a spostarsi da una parte all'altra in rapida successione, per confondere la guerriera. «VEDIAMO SE RIESCI A PRENDERMI!» la derise. Titania con tutta calma estrasse lo spadone dal muro, chiuse gli occhi aspettando il momento giusto.... e li riaprì, lanciando lo spadone in una direzione: l'arma colpì ad un braccio Marcus, conficcandosi contro un muro. «AAAAAHHHHHH», l'urlo di dolore di Marcus risuonò nella stanza. Titania corse da lui, bloccandogli le mani in tempo: «Quindi è grazie alle tue mani che puoi lanciare i tuoi incantesimi...». La ragazza con una forza smisurata, staccò via le mani dai polsi di Marcus: «Ora non potrai più lanciare i tuoi incantesimi». Lo prese con forza, facendo staccare un pezzo di carne dal braccio bloccato dalla spada e lo lanciò contro un muro.

Nel frattempo, anche Leonora si era tolta l'armatura per poter disporre al massimo dei suoi poteri magici: «ARCANUS DOMINATIO!». Sulla fronte della ragazza comparve un terzo occhio semiaperto per un quarto della sua grandezza: «Con questo incantesimo arcano superiore posso amplificare a dismisura i miei poteri... riuscirò a salvarti Kate! RESISTI!». La magia di Leonora era stata potenziata di molto, ma sembrava non bastare: Kate aveva perso moltissimo sangue e la ferita era abbastanza profonda, avendo intaccato anche il cuore. «Perché non guarisci.... PERCHE'! MALEDETTO OCCHIO, APRITI DI PIU', MI SERVE PIU' POTERE!». Ma l'occhio non si mosse di un millimetro. Kate allungò una mano per toccare il viso di Leonora e, debolmente, disse: «Mi... dispiace... Leonora.... avrei dovuto... darvi retta... sono stata... una stupida....»

Leonora: «Shhh non dire così, non parlare, risparmia le forze.... ti salverò Kate, puoi starne cerca! Dovessi esaurire tutto il mio potere magico!».

Kate sorrise e lasciò cadere la sua mano...

Leonora: «Maledizione, maledizione, maledizione, MALEDIZIONE! SE SOLO FOSSI PIU' FORTE!», il viso della ragazza era oramai pieno di lacrime. Continuò ad utilizzare la sua magia nel disperato tentativo di salvarla.

«AAAAHHHHH», Marcus era stato lanciato contro un muro con una tale forza da incastonarsi dentro.

Titania: «Credo che la tua spina dorsale sia a pezzi, non puoi più muoverti». La ragazza estrasse dal muro Marcus... per poi sbattercelo dentro ancora ed ancora ed ancora. Successivamente gli diede un pugno allo stomaco facendogli vomitare una grande quantità di sangue: «Ora invece ti ho rotto qualche costola e ho spaccato alcuni dei tuoi organi interni. La ragazza era coperta dal sangue di Marcus. Con un calcio fracassò le gambe del ragazzo. Infine lo lasciò cadere a terra, diede un pugno al muro creando una crepa che, ramificandosi fino al soffitto, fece cadere dei detriti sul corpo del ragazzo, sommergendolo dal busto in giù.

Marcus: «N...non la scamperete... non riuscirete a.... a.....»

Titania fracassò la testa del ragazzo con un pestone: «Mi sono stufata di perdere tempo con una nullità come te». Del sangue schizzò fino a raggiungere il volto della ragazza, macchiandola leggermente sulla guancia. Prese il suo spadone e lo conficcò su quelle macerie, infilzando anche il cadavere del ragazzo. Sì girò e, a terra, vide una maschera. "Sembra uguale a quella che teneva in mano la mamma.....", pensò tra sé e sé. Corse quindi verso Leonora, in ginocchio vicino all'altare. La giovane maga aveva esaurito il suo potere magico, dando fondo a tutte le sue energie: ora non riusciva più a muoversi.

Titania: «Allora Leonora, come sta Kate? Vedo che hai esaurito le tue energie per aiutarla, sono fiera di te!»

Leonora alzò a fatica lo sguardo e disse ansimando: «..Kate è...»