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sabato 15 marzo 2014

Bus to Nowhere

«D-dove mi trovo? Che posto è questo?»

Colin si risvegliò in mezzo a dell'erbaccia, sul ciglio di una strada asfaltata. Il terreno era tutto fangoso a causa della pioggia che cadeva incessantemente. La luna illuminava debolmente l'ambiente circostante: oltre a quelle poche erbacce e a qualche cespuglio, non vi era traccia di vegetazione alcuna: nessun albero, nessun fiore, nessuna pianta. Dall'altra parte, invece, nemmeno l'ombra di una macchina. Completamente deserto. Colin si trovava spaesato e visibilmente impaurito.

"Perché sono qui? Come ci sono arrivato? E come faccio a tornare a casa?"

Improvvisamente nella testa del ragazzo cominciarono ad affiorare dei ricordi dolorosi: una ragazza, ulra, disperazione, pianti, allontanamento, rabbia, depressione, pasticche.....

"No, non voglio tornare a casa... non voglio. La mia vita oramai non ha più senso..."

Ecco che improvvisamente si udì un rumore in lontananza provenire dalla strada. Un paio di luci si stavano avvicinando velocemente. Pochi secondi dopo, un grande autobus grigio si fermò accanto al ragazzo, benché non ci fosse nessuna fermata nelle vicinanze. La destinazione recitava "NOWHERE". Colin scrutò l'autista: era alto e magro, molto magro. Poteva scorgerne l'eccessiva magrezza dai polsi cadaverici. Aveva la pelle di un bianco pallido, le guance infossate, lunghe occhiaie, pochi denti e gli occhi spenti. Sembrava uno scheletro senza vita. Colin era lì che lo fissava senza proferire parola, alché il conducente si girò verso di lui dicendo: «Ragazzo che fai: sali o no?». Quegli occhi spenti, senza vita, fecero titubare il ragazzo. Superata la paura iniziale però, Colin trovò la forza per domandare: «Dov'è diretto questo autobus?»

«Non sai leggere? Quest'autobus non è diretto da nessuna parte. Vuoi salire o no?»

Colin non era ancora del tutto convinto. Allungò lo sguardo per vedere se ci fosse qualcun altro su quell'autobus. Vide un signore di mezza età in piedi ed una signora seduta, intenta a piangere. Vedendo quindi altre persone, decise di salire. Una volta salito, le porte dietro di lui si richiusero e l'autobus ripartì per quella strada buia e desolata, mentre la pioggia non accennava a diminuire.

Una volta sopra il mezzo, il ragazzo poté notare che c'erano più di quelle due persone che aveva notato. In totale erano in 5: la signora che piange seduta, il signore di mezza età che sospira in piedi, una bambina per terra che gioca con una bambola di pezza senza un braccio ed una gamba, una giovane ragazza seduta, intenta a guardare fuori dal finestrino, ed infine un distinto uomo in giacca e cravatta, in piedi in fondo all'autobus.

«Un'altra anima senza uno scopo. Benvenuto!» esordì l'uomo in giacca e cravatta.

«Chi sei tu?» chiese Colin.

«Io sono il controllore di questo autobus. Sicuramente sarai perplesso e ti starai domandando 'ma dove sono capitato?', giusto?»

«Beh sì, qualche domanda me la sto facendo...»

«Ebbene, lascia che ti spieghi! Questo è un autobus che ospita passeggeri che non hanno più un motivo per vivere. Ognuno di loro ha una motivazione per la quale non trovano più la forza di vivere e quindi salgono a bordo, su quest'autobus senza una destinazione. Ovviamente sono liberi di scendere quando vogliono, ma nessuno ha mai trovato la forza necessaria per questo passo. E tu? Qual è il tuo problema? Perché hai perso la voglia di vivere?»

I ricordi dolorosi di prima si riproposero violentemente nella testa del ragazzo. «Non sono affari tuoi» tagliò corto Colin.

«Come vuoi.... beh, buona permanenza! Accomodati pure dove meglio credi»

Il ragazzo era curioso di sapere le storie dei vari passeggeri. Il primo da cui andò, fu il signore di mezza età. Era alto e magro, come se fosse malnutrito. Pochi capelli in testa e lunghe occhiaie sotto i suoi occhi castani. Indossava un completo elegante ed aveva una valigetta vicino alla sua gamba destra.

«Salve! Posso domandarle perché lei è qui?»

Il signore piegò lievemente la testa verso di lui e, prendendo un profondo respiro, cominciò a raccontare: «Mi chiamo Michael, sono un uomo d'affari. Ho una bellissima moglie e due figli stupendi di 4 e 9 anni. Ho una bella casa, una bella macchina, dei bei vestiti... o sarebbe meglio dire avevo. Pian piano la società che gestivo ha cominciato ad accumulare debiti su debiti. Per pagarli, ho dovuto vendere tutto quello che avevo, ma non bastava mai.... Non riuscivamo ad arrivare a fine mese, litigavo continuamente con mia moglie, i miei figli indossavano stracci e non potevano permettersi nulla, nemmeno un gioco o uno sfizio. Ero stanco di tutto quello.... stanco. Così un giorno, decisi di farla finita. Con la mia assicurazione, loro avrebbero ricevuto una grossa somma di denaro che li avrebbe aiutati a ricominciare una vita più che dignitosa. Aspettai di rimanere da solo a casa, andai in cucina e legai un'estremita di una corda al soffitto. L'altra me la legai intorno al collo, ben stretta. Saltai dalla sedia e.... il buio. Mi risvegliai ai lati di una strada. Questo autobus passò ed io ci salii. Sono 2 anni che sono qui sopra oramai. Non so se sia morto o meno, so solo che non ho il coraggio di scendere, di andare dalla mia famiglia e guardarli ancora negli occhi.... spero solo che stiano bene»

«Capisco.... mi dispiace per ciò che ti è successo....»

Il signore sbuffò e tornò a fissare il vuoto. Colin decise quindi di proseguire, andando dalla signora intenta a piangere. Era una signora grassoccia, con lunghi capelli ricci biondo cenere. Il trucco che aveva in faccia le stava colando a causa delle lacrime. Il rossetto era quasi del tutto tolto, finito sul fazzoletto di stoffa che teneva in mano. Indossava un abito semplice da casalinga.

«Scusi, posso chiederle cos'ha? Perché sta piangendo?»

La signora si asciugò le lacrime col fazzoletto di stoffa, guardò il ragazzo e disse singhiozzando: «Cosa ci fa un ragazzo come te su quest'autobus?»

Colin stava per dire qualcosa, ma la signora lo interruppe: «Quanti anni hai? Venti? Venticinque? La mia Maggy avrebbe la tua stessa età sai....» e ricominciò a piangere.

«Maggy?» chiese il ragazzo.

«Sì, Maggy.... era mia figlia. Un maledetto incidente stradale me l'ha portata via 6 anni fa. Appena ho saputo la notizia, sono letteralmente impazzita. La depressione mi lacerava giorno dopo giorno, finché non ho deciso di prendere dei sonniferi per calmarmi.... evidentemente ne ho presi fin troppi. Mi sono risvegliata sul ciglio di una strada e quest'autobus mi ha raccolta. Da 6 anni sono qui sopra e non faccio altro che piangere. Non ho il coraggio di tornare da mio marito, di ricominciare....». La donna riprese a piangere. Colin non disse nulla ed andò dalla bambina. Era una bella bimba, con un elegante abito rosa e lunghi capelli castani. Il suo grazioso viso mostrava due grandi occhi verdi e delle belle guance rosse. Era seduta a terra, intenta a giocare con la sua bambola di pezza.

«Ciao! Che stai facendo?» chiese Colin.

«Sto giocando con la mia bambola... o con quello che ne è rimasto» rispose la bambina senza distogliere lo sguardo dalla bambola.

«Lo vedo... ma come mai sei qui?»

«Non lo so. L'ultima cosa che ricordo è che stavo giocando col mio cane Spike nel giardino di casa. Per sbaglio ho lanciato la palla troppo forte ed è andata in mezzo alla strada. Spike la stava rincorrendo.... io non volevo che si facesse male e sono corsa subito a riprenderlo. Poi, un rumore straziante di frenata.... un clacson che suona incessantemente..... la paura sale. Vedo Spike che viene colpito. Mi metto ad urlare, continuando a correre. Lascio cadere la mia bambola. Un'altra frenata. Mi giro e.... buio. Mi sono risvegliata tra dei cespugli, con la mia bambola mezza rotta in mano. Ho aspettato un po' e subito è apparso questo autobus. Non sapevo dove andare e sono salita. Non ricordo da quanto tempo sia qui sopra.... so solo che.... mi manca tanto il mio cagnolino.... Spike... dove sei....». La bambinia iniziò a singhiozzare. Colin tirò fuori dalla tasca un fazzoletto, lo porse alla bambina e passò oltre.

Rimaneva solamente la ragazza che guardava fuori dal finestrino. Era completamente priva di capelli, aveva la pelle rovinata e delle grandi occhiaie sotto i suoi bellissimi occhi azzurri. Colin si sedette vicino a lei e stava per rivolgerle la parola, quando la ragazza disse: «Sono malata di cancro. All'ultimo stadio. La chemio non è servita a nulla, se non a farmi perdere i capelli e rovinare il mio aspetto. Quando i medici hanno detto che non c'era più nulla da fare, sono scappata. Scappata dalla mia famiglia, scappata dai miei amici, scappata dal mio ragazzo.... non so nemmeno se sanno che sono spacciata oramai. Mi sono nascosta in un vicolo. Avevo una lametta con me....». La ragazza mostrò i polsi. Entrambi presentavano dei tagli piuttosto profondi. «Sembra però che non abbia funzionato. Mi sono risvegliata su del terriccio, vicino ad una strada, quando è passato questo autobus. Da 2 settimane sono qui sopra, aspettando la fine e guardando fuori dal finestrino. Sempre e solo il vuoto.... come quello che ho dentro. Perché la vita deve essere così ingiusta?»

Colin non sapeva cosa dire.

«E tu? Perché sei qui? Non mi sembra tu abbia qualche problema di salute. Hai per caso perso una persona a te cara?»

Il ragazzo ripensò a ciò che successe negli ultimi giorni. Le litigate che ebbe con la sua ragazza. La decisione di lei di farla finita e lasciarsi. Il suo non essere d'accordo con quella scelta. Ancora litigate. Pianti. Rabbia. Dirsi addio. Non accettare la cosa. Disperarsi. Fino ad arrivare a prendere delle pastiglie. Troppe pastiglie.

"Ma cosa sto facendo?". Colin si alzò, andò dal controllore e gli disse: «fermi subito l'autobus. Voglio scendere»

«Senti senti. E come mai questa scelta, ragazzo?»

«Ho capito di essere un idiota. Ci sono persone che hanno problemi seri, che soffrono per motivi ben più gravi dei miei, che hanno veramente perso tutto ciò che avevano. Poi ci sono io, che sono solamente un venticinquenne immaturo che appena gli si presenta un problema, all'apparenza insormontabile, decide di fuggire, disperandosi. Non voglio più comportarmi così. Voglio affrontare la vita e cercare di riuscire a farcela, malgrado le difficoltà. Voglio vivere! Anche per rispetto di queste persone. Voglio andare avanti anche per loro. Quindi la prego, fermi il bus». Colin era fermamente convinto. I suoi occhi brillavano di volontà e voglia di vivere.

L'uomo lo stava fissando. Abbassò lo sguardo e, con un sorrisetto, disse: «Ferma il bus». L'autista fermò delicatamente l'autobus. Colin diede un ultimo sguardo a quelle persone, salutandole con un cenno della testa e scese dal mezzo. Mentre stava scendendo, un ragazzo con le stampelle, senza una gamba e con una grave infezione al viso, era sul ciglio della strada. Colin lo guardò e non poté provare nient'altro che pena. Quel ragazzo salì sull'autobus che poi sparì nel buio della notte.

Colin allora iniziò a camminare, verso l'ignoto. L'unica cosa che poteva guidarlo... era una piccola luce all'orizzonte. Non era la luce della luna e nemmeno quella del sole. Era come una minuscola lucciola che se ne stava ferma in un punto. Colin la stava pian piano raggiungendo, passo dopo passo....


Il reparto di terapia intensiva del Lenox Hill Hospital di New York era sempre pieno di gente, un via vai continuo di medici e pazienti. Il Dr. Matt uscì dal reparto, visibilmente agitato. Stava cercando i signori Wilson, doveva parlargli.
Il signore e la signora Wilson erano nella sala d'attesa, seduti vicini, stringendosi le mani a vicenda. Erano tesi, molto tesi. La signora era sul punto di piangere. Quando videro il Dr. Matt, corsero verso di lui con la speranza negli occhi.

«Allora dottore, ci dica... ci sono novità?»

Il Dr. Matt riprese fiato per la corsa fatta per arrivare fin lì. Guardò la coppia e, sorridendo, disse: «Vostro figlio è uscito dal coma!»

giovedì 14 novembre 2013

Last Night

NdM: si consiglia la lettura di questo racconto con questa musica in sottofondo: http://www.youtube.com/watch?v=6hlADpxjj0s. Buona lettura e buono ascolto!


LAST NIGHT


"Alla fine è giunta. L'ultima notte che passerò su questa terra. Il cancro mi ha divorato fino alla fine. Ho provato a combatterlo tentando di tutto, ma non c'è stato verso. Inizialmente non la presi bene: mi disperai, diventai scontroso ed irascibile, non avevo voglia di vedere nessuno e mi chiusi in me stesso. Del mese di preavviso che mi è stato dato, metà l'ho letteralmente buttato deprimendomi. Grave, gravissimo errore.... quanto tempo ho sprecato facendo l'egoista viziato. Non dissi nulla a nessuno inizialmente, solamente i miei genitori erano consapevoli di ciò. Avrei voluto dirglielo solamente all'ultimo, ho sofferto molto vedendo mia madre disperarsi e piangere giorno dopo giorno. Più si avvicinava la data della mia dipartita, più lei dava fondo a tutte le sue energie disperandosi. Tenni all'oscuro tutti i miei amici e perfino la mia ragazza. Ecco, a lei non sapevo proprio come dirlo.... sapevo che avrei spezzato non uno, ma ben due cuori. Passai la terza settimana del mese interamente con i miei amici... meno l'avrei vista e meglio sarebbe stato. Anzi, avrei voluto che mi odiasse e mi lasciasse, dimenticandomi. Invece sapete come mi ha risposto? 'Ho capito che c'è qualcosa che non va... quando ne vorrai parlare io ci sarò. Ti aspetto amore mio'.... come potevo ignorarla? Come potevo ignorare i miei ed i suoi sentimenti? All'inizio dell'ultima settimana della mia vita, decisi di raccontarle tutto. Rimase sconvolta ovviamente. Si arrabbiò. Pianse. Sfogò su di me parte della sua rabbia. Infine mi abbracciò, senza smetterla di piangere. Ci vedemmo per tutta la settimana e pianificammo come trascorrere la fatidica domenica, giorno del mio addio. Sabato invece lo passai con tutti i miei parenti. Sembrava di assistere al mio funerale: mia madre su di una sedia, intenta a piangere. Mio padre che cercava di consolarla. Mia sorella che singhiozzava e non sapeva cosa dire. I miei zii e cugini erano bianchi in volto. I miei nonni continuavano a scuotere la testa. 'Hey gente, non sono ancora morto, smettetela di comportarvi così!', dissi inutilmente. Fu veramente una giornata terribile. Alla fine di quella giornata, discussi anche con i miei: non volevano che passassi il mio ultimo giorno di vita insieme alla mia ragazza, ad un'estranea. Pian piano li feci ragionare su quanto fosse importante per me e del perché dovessi passare la mia ultima giornata con lei. Alla fine capirono ed acconsentirono alla cosa. Gli diedi indicazioni su dove avrebbero potuto trovarmi il lunedì mattina. Domenica mattina, prima di recarmi al luogo dell'appuntamento, diedi l'ultimo saluto alla mia famiglia in lacrime. Fu una scena abbastanza straziante"

Giunse la notte. Due ragazzi erano seduti su di una collina, l'uno accanto all'altra, avvolti in una sottile coperta di lino. Era una fresca serata estiva. Il vento soffiava dolcemente smuovendo le foglie di alberi e fiori. Il frinire dei grilli creava una certa atmosfera. Il cielo era limpido e stellato, con una bellissima luna piena.

"L'ultimo regalo d'addio da parte del cielo... speravo proprio in uno spettacolo simile" pensò il ragazzo.

«Non è uno spettacolo bellissimo?» disse lui rivolgendosi alla ragazza la quale non rispose, tenendo lo sguardo fisso.

«C'è anche la luna piena. Volevi vedere da tempo uno spettacolo simile, non sei contenta?»

La ragazza chinò il capo e cominciò a singhiozzare. Lui si affrettò ad alzarle dolcemente la testa con le sue mani e, fissandola negli occhi, disse: «Ricordati la promessa»

Lei, continuando a singhiozzare, fece un cenno di assenso con la testa e, pian piano, si calmò.

«Sì... è uno spettacolo bellissimo» rispose lei con un filo di voce.

«Ma mai bello quanto il tuo sorriso!» disse lui continuando a fissarla.

«... scusami ma è già difficile così, non infierire per favore....» disse lei evitando il suo sguardo.

«... lo so che è difficile. È difficile per tutti, specialmente per me. Ma non voglio lasciare questo mondo con un brutto ricordo. Voglio potermene andare con il sorriso sulle labbra. Ricordi la promessa? 'Non dobbiamo piangere per nessun motivo prima della mia dipartita'»

«... si, ricordo la promessa che ci siamo fatti ad inizio settimana. Una promessa che non ho potuto mantenere e...»

«L'importante è che tu la mantenga in mia presenza» concluse lui con il sorriso sulle labbra.

Lei era visibilmente distrutta. Aveva due grandi occhiaie e gli occhi rossi. Aveva pianto tutta la notte prima di quel nefasto giorno. I due ragazzi continuarono a parlare, ad osservare le stelle, a raccontarsi aneddoti tuffandosi nei ricordi, ridendo allegramente come le prime volte che cominciarono a frequentarsi. Improvvisamente lei si strinse nelle braccia di lui. Un abbraccio caloroso, forte, deciso, intenso.

«Mi mancherai.... non sai quanto....» disse lei, cercando di trattenersi.

«.... guarda quelle stelle. I grandi re del passato ci osservano. Ed anche se non sono un re, sarò anche io lì tra loro e veglierò su di te»

La ragazza lo guardò e rise: «Sai che adoro le citazioni disney»

«Per questo l'ho detto, eheh»

I due si abbracciarono nuovamente, concludendo il tutto con un lungo, dolce bacio.
Lui vide che la ragazza faticava a tenere gli occhi aperti.

«Perché non ti distendi un po' sulle mie gambe?» propose il ragazzo

«No, non voglio dormire. Non voglio sprecare così il mio ultimo tempo con te....»

«Ma sei esausta, non hai dormito 'sta notte?»

«...devo anche risponderti?»

«... hai ragione, domanda idiota» si scusò lui, insistendo però: «beh puoi riposarti almeno cinque o dieci minuti. Ti sveglierò non appena ti sarai riposata un po', così potremmo continuare la nostra giornata speciale. Te lo prometto!»

«Va bene.. ma solo cinque... *yawn* minuti....». La ragazza si addormentò non appena posò la testa sulle sue gambe.

Il ragazzo le accarezzò dolcemente i capelli e, mentre la guardava, pensò: "dovrò dirti addio... dire addio a tutto questo.... non voglio, ma non posso farci nulla...». Cominciò a singhiozzare. Ripensò a tutti i bei momenti trascorsi insieme. Una lacrima scese lungo il suo viso.

"Mi dispiace... ho infranto la promessa e sto per infrange quella che ti ho fatto poco fa. Non ho intenzione di svegliarti, non voglio vederti soffrire obbligandoti a tenere tutto dentro. Non voglio.... e poi, sei così dolce quando dormi..."

Improvvisamente avvertì una fitta al petto.

"Alla fine è giunto il momento...."

Adagiò dolcemente il corpo della sua amata disteso sull'erba. Lui si distese vicino a lei, ma non del tutto ancora. Voleva darle un ultimo sguardo. Un ultimo sguardo alla persona che più ha amato in tutta la sua vita. Cominciò a piangere in silenzio, sussurrando: «Io.. voglio solamente dirti.... grazie. Grazie per tutto il tempo trascorso insieme. Grazie per i magnifici ricordi che mi porto nel cuore. Grazie per tutte le immense sensazioni che mi hai fatto provare. Ed infine... grazie... per il tuo sorriso. Il tuo sorriso che mi ha fatto innamorare. Quel sorriso che mi ha scaldato il cuore, che mi tirava su di morale quando ero depresso, che sapeva contagiarmi e farmi ridere a mia volta. Quel sorriso... il tuo sorriso. Non smettere mai di sorridere. Donalo agli altri, sicuramente sapranno apprezzarlo come ho saputo apprezzarlo io. Solamente un'ultima cosa.... scusami se ti ho costretta a sorridere anche se non volevi nient'altro che piangere. Sono stato un egoista... per l'ultima volta. Volevo solamente lasciare questa terra con la tua immagine sorridente. L'immagine del tuo sorriso. Un sorriso... che può far impallidire l'universo. Addio amore mio. Buonanotte"

Il ragazzo si protrasse verso di lei e le diede un piccolo bacio sulla fronte. Dopodiché si adagiò vicino a lei e, lentamente, chiuse gli occhi.

Per sempre.

sabato 22 giugno 2013

Io ti salverò

Edoardo è un ragazzo di 18 anni con tanti sogni nel cassetto: vorrebbe diventare un ingegnere aerospaziale, entrare nella NASA e progettare qualche apparecchiatura per i viaggi nello spazio. Un ragazzo veramente ambizioso e volenteroso, quando si mette in testa qualcosa è difficile fargli cambiare idea. Un giorno decise di andare a far visita al suo migliore amico Umberto, ricoverato in ospedale in seguito ad una brutta caduta.

Edoardo: «Eccoti qui finalmente, non riuscivo a trovare la stanza! Ma tu proprio adesso dovevi farti male? Mancano tre mesi alla maturità!»

Umberto: «Eccolo il peggiore della scuola! Lascia perdere guarda, per guardare una ragazza mentre andavo in moto mi son distratto e sono andato a sbattere contro un muro»

Edoardo: «Certo che sei proprio un idiota. Per guardare una ragazza poi»

Umberto: «Sai che ho un debole per le ragazze, non sono mica un finocchio come te, ahahah! Ed a proposito, sai con chi sono in camera?»

Edoardo: «In effetti te lo stavo per chiedere, ho notato che c'è un altro letto»

Umberto: «È una ragazza veramente bellissima! So che si chiama Alice e... basta. Ho provato a scambiarci due parole ma niente, non vuole parlarmi. Forse si vergogna perché sono troppo un figo, la metto a disagio poverina»

Edoardo: «Sicuro di non aver sbattuto anche la testa?»

Umberto: «Giudica tu stesso quando tornerà allora! Ora è fuori stanza per una visita e... oh eccola che arriva!»

Dall'uscio comparve una ragazza in stampelle che, faticosamente, stava cercando di raggiungere il suo letto.

Edoardo: «Aspetta, ti aiuto». Il ragazzo si diresse verso di lei, ma venne subito fermato da una frase: «Non serve, posso farcela da sola, non preoccuparti. Grazie per la cortesia»

Edoardo: «... di niente».

La ragazza arrivò a fatica al suo letto, prese un libro dal comodino vicino e cominciò a leggere.

Edoardo: «Beh dai, sarà meglio che vada. Riposati e riprenditi presto! E nel frattempo studia le cose che ti ho portato»

Umberto: «Sì sì certo... che seccatura»

Alice: «Non c'è bisogno che tu te ne vada a causa mia, puoi rimanere a far compagnia al tuo amico, non mi da nessun fastidio»

Edoardo: «No ma tanto sarei dovuto andare via ugualmente che devo studiare per la maturità»

Alice: «In bocca al lupo» disse poggiando momentaneamente il libro sul letto e guardando in faccia il ragazzo. Edoardo ora poteva osservarla per bene: era veramente una ragazza bellissima, con lunghi capelli neri ed occhi scuri, un grazioso naso ed una piccola bocca con delle fossette. Il ragazzo pensò che fosse una persona veramente interessante, decise quindi che sarebbe andato a trovare l'amico più spesso.

Ed infatti, il giorno dopo, terminate le lezioni, ecco che Edoardo era già lì, in ospedale.

Umberto: «E tu cosa ci fai qui?»

Edoardo: «Dov'è Alice?»

Umberto: «Scusami se il tuo migliore amico è così insignificante»

Edoardo: «Eddai, non fare il cretino!»

Umberto: «Eheh, ti sei preso una cotta per quella ragazza eh? Beh, se riesci a farla ragionare è tutta tua, non voglio buttarmi in imprese impossibili»

Edoardo: «Sì, ma mi dici dov'è?»

Alice: «Scusa, potresti spostarti dalla porta? Dovrei entrare»

La ragazza comparve alle spalle di Edoardo che subito si spostò per lasciarla passare. Era visibilmente imbarazzato. La ragazza raggiunse il letto, prese il solito libro e si mise a leggere. Edoardo la osservava in silenzio.

Alice: «Beh, devi dirmi qualcosa?» disse senza distogliere lo sguardo dal libro.

Edoardo: «C-chi i-i-io? I-io e-ecco.... veramente....»

Alice: «Rilassati, non ti mangio mica!»

Umberto: «Ricordati di respirare Edo, altrimenti collassi e ricoverano anche a te! Solo che in questa stanza i letti son finiti»

Edoardo: «Beh, potremmo cacciare via te tanto per dirne una!»

Alice: «Potreste smetterla cortesemente? Non riesco a leggere»

Umberto: «Ma se ieri avevi detto che non ti davamo fastidio!»

Alice: «Mi da fastidio sentire due idioti che discutono di idiozie»

Umberto: «Ma chi ti credi di essere?!»

Edoardo: «Forse è il caso che vada... ci vediamo Umberto. Ciao... Alice»

Alice: «Ciao», disse freddamente e senza distogliere lo sguardo dal libro.

Arrivo il fine settimana, niente scuola ed Edoardo poteva andare a trovare il suo amico e restare più a lungo. Ma ovviamente non era lui che sperava di incontrare.

Edoardo: «Ciao Umberto, ti son venuto a trov... dov'è Umberto?»

Nella stanza c'era soltanto Alice intenta a leggere quel suo libro.

Alice: «È andato a fare riabilitazione, tornerà tra qualche ora»

"Bene, finalmente siamo soli!", pensò Edoardo che si mise a sedere sul letto di Umberto, accanto alla ragazza.

Edoardo: «....ehm... che stai leggendo?»

Alice: «Ti interessa?»

Edoardo: «Beh, se te l'ho chiesto evidentemente sì»

Alice: «Non era una semplice scusa per attaccare bottone?»

Edoardo: «Perché avrei bisogno di una simile scusa? Ho notato che stai leggendo sempre lo stesso libro e mi chiedevo di che libro si trattasse»

Alice: «La bella addormentata nel bosco. Parla di una principessa che, a causa di una maledizione, è costretta a dormire finché il bacio del suo principe azzurro non la risvegli spezzando il maleficio»

Edoardo: «Sì conosco la storia, me la leggeva sempre mia madre da bambino. Come mai la stai leggendo? Non l'avevi mai letta»

Alice: «Sì, la conoscevo già. Però ora che mi sento come Aurora, la principessa della fiaba, mi è venuta voglia di rileggerla»

Edoardo: «Se non sono troppo indiscreto, potrei chiederti come mai ti paragoni ad Aurora?»

Alice: «No, non sei indiscreto, non preoccuparti. Tanto la mia situazione è tranquillamente leggibile sulla cartella clinica situata ai piedi del letto. Io sono affetta da una rara malattia che distrugge lentamente il sistema nervoso. Come avrai notato, faccio fatica a camminare. Prima o poi smetterò di camminare e di muovermi del tutto. C'è il rischio anche che finisca in coma e forse potrei non risvegliarmi più.... proprio come Aurora»

Edoardo: «Ma lei alla fine si risveglia, sii ottimista avanti!»

Alice: «Ma nella realtà il principe azzurro non esiste»

Umberto: «Perché, io cosa sono? Sono il principe azzurro più azzurro di tutti, così azzurro che quando mi sporco con la panna, mi scambiano per il cielo!»

Umberto fece il suo trionfale ingresso, rovinando l'atmosfera che si era venuta a creare.

Alice: «Oh, è tornato il tuo amico idiota»

Umberto: «Sempre gentile tu, come al solito. Scusa se ti ho fatto aspettare Edo. Ho una bella notizia per te, sono praticamente guarito e domani mi dimetteranno!»

Alice: «Oh meno male, si riuscirà ad avere un po' di calma qui dentro finalmente»

Umberto: «La parte migliore sarà che non ti rivedrò mai più, che sollievo!»

Edoardo: «Potreste smetterla voi due? È una bellissima notizia Umberto, finalmente potrai tornare a frequentare le lezioni»

Umberto: «....devi sempre rovinare tutto tu»

Alice abbozzò un sorriso. Edoardo pensava che finalmente poteva rimanere tutto il tempo da solo con lei, parlando di tutto quello che gli passava per la testa. Il ragazzo tornò il giorno seguente.... e quello dopo ancora.... ed ancora... ogni giorno andava a trovarla. Alice stava ricominciando a sorridere, era contenta di avere finalmente qualcuno con cui parlare.

Edoardo: «Ma tu sei sempre qui da sola? Dove sono i tuoi genitori?»

Alice: «Sono in giro per il mondo a cercare un qualche dottore che possa curarmi. Mi telefonano ogni giorno e mi mandano delle lettere. Mi piacerebbe averli qui, al mio fianco piuttosto che lontano... ma so che lo fanno per il mio bene»

Edoardo: «Sei una persona molto forte sai?»

Alice sorrise dolcemente. Quel sorriso colpì molto il ragazzo che arrossì e distolse immediatamente lo sguardo. La ragazza ridacchiò.

Alice: «Scusami Edo, potresti aiutare ad alzarmi? Dovrei andare in bagno ma non ci riesco»

Edoardo: «Subito, aggrappati a me»

Edoardo aiutò la ragazza ad alzarsi dal letto. Una volta a terra l'accompagno fin fuori dalla porta ed in quel momento Alice disse: «Ora posso farcela anche da sola, puoi lasciarmi andare, grazie». Non appena Edoardo lasciò la ragazza, ella cadde a terra pesantemente. Gli infermieri accorsero subito e visitarono la ragazza. Purtroppo ciò che Alice aveva predetto si era avverato: il sistema nervoso era pesantemente compromesso che la ragazza non riusciva più a muovere le gambe. A malapena riusciva a muoversi dal busto in su. Edoardo era molto triste. Pensò molto alla situazione ed a una possibile soluzione. Pensò e pensò, ci rimuginò sopra per ore ed ore, finché non arrivo ad una conclusione. Il giorno dopo andrò a trovare come si consueto Alice.

Edoardo: «Sai Ali, ci ho pensato molto attentamente e sono arrivato alla conclusione che... io ti salverò. Io troverò una cura. Io sarò il tuo principe azzurro!»

Alice abbozzò a fatica un sorriso e, sempre con molta fatica, disse: «C...cosa ne sarà... dei.... dei tuoi sogni....?»

Edoardo: «Non devi preoccuparti, andrà tutto bene. Non sforzarti, ora pensa solo a riposarti»

Alice: «N...non voglio che... rinunci ai.... tuoi sogni... a causa mia....»

Edoardo: «Ora la cosa più importante è farti guarire, per realizzare i miei sogni c'è sempre tempo. E poi oramai ho già preso la mia decisione: ho comprato dei libri di medicina e mi son messo a studiarli. Mi son informato sulla tua malattia e ho scoperto che il rischio del coma è veramente basso e che col tempo e le giuste cure, il sistema nervoso torna ad essere efficiente! Io dico che ce la possiamo fare, dobbiamo crederci!»

Alice: «G....grazie... mi.... hai... resa.... felice... ora però... se non ti dispiace.... vorrei riposarmi....», detto questo, la ragazza chiuse gli occhi e si addormentò.

"Dormi piccola Alice, ci vediamo domani. Non arrenderti, io non lo farò", pensò il ragazzo guardando dolcemente la ragazza.

Il giorno seguente, Edoardo puntualmente andò a trovare Alice nella sua stanza di ospedale, ma non trovò nessuno. Chiese allora informazioni ad un'infermiera.

Infermiera: «Ah sì, la paziente della 401..... povera ragazza. Purtroppo è entrata in coma questa notte e l'abbiamo spostata in un'altra stanza, nella 507. Ora è attaccata ad un macchinario che almeno la tiene in vita. I dottori non sanno se potrà risvegliarsi, la malattia ha colpito in profondità il sistema nervoso... mi dispiace. Eri un suo amico?»

Edoardo corse immediatamente verso la stanza 507, situata un piano più in alto. Si avvicinò al vetro della stanza e la vide: era in condizioni pessime, ferma, immobile, con un'espressione triste ed attaccata a quell'enorme macchinario che la teneva in vita. Il ragazzo pensò tra se e se: "Io ti salverò.... te lo prometto!" e tornò a casa.


Passarono sette lunghi anni.

Padre di Alice: «Oggi la nostra piccolina verrà operata... oramai le abbiamo provate tutte»

Madre di Alice: «Tutti i dottori che abbiamo incontrato in giro per il mondo ci hanno detto la stessa identica cosa. Avremmo dovuto rassegnarci ed aspettare che la nostra piccolina morisse. Ma noi egoisticamente, abbiamo voluto sperare ed abbiamo continuato ad andare avanti. Chissà quanto deve aver sofferto....»

Padre di Alice: «Già.... siamo due pessimi genitori. Questa è l'ultima speranza che abbiamo, se dovesse fallire anche questa operazione, daremo il consenso a staccare la spina. Alice, spero tu possa perdonarci per tutto il male che ti abbiamo fatto...»

In sala operatoria, dopo tre lunghe ore....

Infermiera: «Il.... il battito sembra essersi stabilizzato! L'encefalogramma sta registrando dell'attività cerebrale! Dottore c'è riuscito!»

Assistente: «Questo è un vero miracolo, oramai la ragazza era spacciata!»

Infermiere: «Non è un miracolo, è la bravura umana e la voglia di salvare una vita a tutti i costi che ha permesso ciò, giusto dottore?»

«Giusto Umberto! Guardate, la paziente si sta svegliando, fatemi parlare con lei»

Alice: «D...dove mi trovo? Che posto è questo? Sono forse in paradiso?»

«Sei in una fiaba ed io sono il tuo principe azzurro. Ben svegliata mia cara!»

Alice: «... tu? TU! Cosa? Tu.... mi hai salvata?»

Edoardo: «Te l'avevo promesso. E poi, dovevo assolutamente rivedere quel meraviglioso sorriso che mi regalasti sette anni fa»

venerdì 7 giugno 2013

Il dolore della Rosa

"Mmmmmmm dove mi trovo... è così buio qui..."

Rose è una ragazza di 16 anni che, improvvisamente, si è ritrovata a dover combattere per la sua sopravvivenza.

"Mamma... papà... Simon... dove siete tutti? Perché mi trovo in questo strano posto da sola?"

Il luogo in cui si trovava somigliava ad un castello. Un castello lugubre ed antico.

"Farei meglio a cercare un'uscita... devo tornare a casa.... saranno tutti preoccupati"

Rose è una ragazza di buon cuore: invece di pensare a se stessa, a come sia finita lì, pensa alla preoccupazione della sua famiglia se non dovessero ritrovarla.

"Sembra proprio un castello.... tetro... buio... e pieno di inquietanti statue. Statue che sembrano fissarti, che vorrebbero aggredirti. Di chi sarà mai?"

La ragazza continuò a vagare per il castello senza riuscire a trovare un'uscita.

"Molte delle porte sono chiuse a chiave, il castello è immenso e non riesco ad orientarmi...."

Stava oramai perdendo le speranze, quando ad un certo punto sentì una melodia.

"Ma questo è un pianoforte!"

Lei adorava la musica e subito riconobbe il suono del pianoforte, il suo strumento preferito. Si diresse verso la stanza da dove proveniva la musica. Entrò piano senza far rumore per non disturbare l'esecutore. Rose rimase lì ad ascoltare in silenzio quella meravigliosa melodia.
Quando terminò, la ragazza fece un lungo applauso che spaventò l'esecutore e lo fece girare di scatto. Era un ragazzo, sui 25 anni, alto, capelli lunghi e neri, profondi occhi verdi. Rose lo guardava con ammirazione.

???: «.... Perché non scappi?»

Rose: «Perché dovrei scappare?»

???: «Mi hai visto bene?»

Rose: «Sì»

???: «E non ti faccio paura?»

Rose: «No»

???: «.... ok mi stai prendendo in giro, vero?»

Rose: «Non mi permetterei mai»

???: «STAI MENTENDO!»

Rose: «Invece di accusarmi ingiustamente, perché non mi suoni qualcos'altro? Sei bravissimo ed adoro il tuo modo di suonare il piano. La melodia di prima mi ha quasi commossa!»

Il ragazzo era incredulo. Oltre ai suoi genitori, nessuno era mai rimasto vicino a lui dopo averlo visto.

Rose: «Ah dimenticavo: io sono Rose. Tu come ti chiami?»

???: «Vil... è un piacere fare la tua conoscenza piccola Rose»

Vil cominciò a suonare. E mentre suonava, pensava: "chissà come mai non ha paura di me come tutti gli altri...".

I due ragazzi fecero subito amicizia: Vil portò Rose a fare un giro del castello.

Vil: «E questo è il salone. È qui che organizziamo feste, balli e quant'altro. C'è anche un altro pianoforte che molte volte utilizzo per intrattenere gli ospiti»

Rose: «Ma in quella posizione daresti le spalle a tutti. Perché non lo rigirate, in modo che mentre suoni puoi anche vedere la gente che balla e si diverte grazie alla tua musica?»

Vil: «Mi domando se tu non lo faccia apposta a domandarmi queste cose... Piuttosto, tu da dove spunti fuori? Sei per caso un'ospite di mia madre? O una mia lontana cugina che è venuta a farci visita?»

Rose: «Io veramente non so proprio come abbia fatto ad arrivare fin qui... l'ultima cosa che ricordo è di essermi addormentata nel mio letto come ogni sera e di essermi risvegliata in questo castello»

Vil: «Ah, devi essere un'abitante del mondo esterno allora»

Rose: «Mondo esterno?»

Vil: «Sì, è così che chiamo il mondo al di là del portale»

Rose: «Portale?»

Vil: «È una sorta di portale magico che ci collega ad un altro mondo, probabilmente quello da cui tu provieni»

Rose: «Ah, quindi c'è un modo per tornare a casa!»

Vil:«Naturalmente....»

Rose: «Ti prego Vil, dimmi dove si trova questo portale! Voglio tornare a casa... non posso rimanere qui, la mia famiglia mi sta aspettando, capisci?»

Vil: «Sì, capisco. Però ora i miei sono fuori per lavoro e la servitù non ha la chiave della stanza dove si trova il portale. Dovresti aspettare cinque giorni»

Rose: «Ma così la mia famiglia sarà in pensiero! Non c'è un modo per avvertirla?»

Vil: «Oh, di questo non ti devi preoccupare. Mio padre mi ha detto che un giorno trascorso qui equivale ad un'ora trascorsa nel mondo esterno. Se quindi mi hai detto che l'ultima cosa che ricordi è di esserti addormentata, passeranno solo 5 ore da allora e ti sveglierai come se niente fosse successo. Mi dispiace, ma non posso fare altro per aiutarti»

Rose: «Ah, se stanno così le cose allora non ci son problemi. Anzi, son contenta di poter trascorrere dell'altro tempo qui con te, mi sembri un ragazzo tanto dolce e sensibile. In più sei bravissimo a suonare il pianoforte... perché non mi insegni e magari suoniamo qualcosa insieme?»

Vil: «Beh... sì... potrei insegnarti... Ma sei sicura? Dovrei sedermi vicino a te, stare a stretto contatto»

Rose: «E dov'è il problema, scusami!», disse la ragazza con il sorriso sulle labbra.

Vil era ancora scettico... però in cuor suo scoppiava di felicità: lei era la prima persona che lo considerasse al suo pari. La prima persona che non lo trattasse come un rifiuto. La prima persona che lo trattasse come un amico.

I giorni trascorsero, Rose stava imparando a suonare molto velocemente.

Vil: «Hey, lo sai che sei molto brava? Secondo me sei portata per questo strumento»

Rose: «Dici? Io mi sento tanto un'imbranata. Non riesco ancora a seguire bene le note ed il tempo»

Vil: «Lasciati guidare da quello che senti dentro. Fidati del tuo istinto e dei tuoi sentimenti»

Rose: «Grazie Vil, sei veramente premuroso e dolce. Con i tuoi consigli vedrai che migliorerò a vista d'occhio!»

Vil: «Son sicuro che ce la farai... a tal proposito, che ne diresti di comporre un nuovo pezzo?»

Rose: «Dici un pezzo tutto nostro?»

Vil: «Esatto! Un pezzo da suonare a quattro mani»

Rose: «Non so se ne sarò capace... non rischio di rovinare tutto?»

Vil: «Oh no, non ti preoccupare. E poi ci sono io qui»

Rose: «Grazie... però abbiamo così poco tempo»

Vil: «Ed allora mettiamoci subito all'opera!»

Passarono altri giorni, i due ragazzi avevano instaurato un rapporto molto profondo.

Rose: «CE L'ABBIAMO FATTA!»

Vil:«Che ti dicevo! Ed è venuta fuori una melodia bellissima»

Rose: «Ora bisogna trovarle un nome... solo che non ne ho proprio idea»

Vil: «Beh, io una mezza idea ce l'avrei....», il ragazzo si fece serio in volto e fissò Rose dritto negli occhi, «Rose... sai, è grazie a te se ho imparato cosa significa vivere.... ed ecco... veramente io....»

*toc toc*
«Il padrone è tornato, l'aspetta nel salone»

La cameriera ha interrotto quello che Vil stava per dire a Rose. I due ragazzi si recarono in salone.

Il padre di Vil era un barone molto tenebroso, incuteva timore solo a guardarlo.

"Ora capisco da dove è ripreso il cattivo gusto di questo castello", pensò Rose.

Barone: «Figliolo dimmi, chi è questa ragazza?»

Vil: «Padre, lei è una nostra ospite che viene dal mondo esterno. È arrivata proprio nel momento in cui tu e la mamma siete andati via per questioni lavorative»

Barone: «Capisco... quindi ha attraversato il portale. E come hai fatto, se posso permettermi, mia cara ragazza?»

Rose: «Beh... non saprei proprio come. Ricordo solo di essere andata a dormire come ogni sera e di essermi risvegliata qui»

Barone: «Capisco. Forse un malfunzionamento del portale»

Vil: «In ogni caso padre, avevo già in mente di farla tornare nel suo mondo, aspettavamo giusto il tuo ritorno, perché solo tu hai la chiave della stanza del portale»

Barone: «Saggia decisione figliolo. Ti aspetto nella sala del portale allora, prima la rimandiamo a casa e meglio sarà per tutti». Il barone si affrettò a raggiungere la stanza e durante il tragitto pensava tra sé e sé: "Avrei dovuto distruggere quel maledetto portale quando ne avevo la possibilità.... sono stato troppo avido, dannazione!"

Vil: «.....»

Rose: «Va tutto bene Vil?»

Vil: «... sì, non ti preoccupare, stavo solo pensando. Aspettami qui, devo preparare delle cose e poi ti accompagno alla sala del portale. Non ci metterò molto»

Dopo qualche minuto, Vil tornò ed accompagnò Rose nella stanza. Al suo interno c'era un grande specchio appoggiato alla parete.

Barone: «Siete finalmente arrivati. Questo mia cara è il portale. Non devi far altro che avvicinarti, posare una mano sulla sua superficie e pensare al posto che vuoi raggiungere»

Rose posò una mano sulla superficie dello specchio e chiude gli occhi. Pochi secondi dopo si aprì un portale che rifletteva l'immagine della sua stanza. La ragazza però era combattuta.

Vil: «Beh Rose... sembra proprio che questo sia un addio»

Rose: «Vil.... perché tu... non vieni via con me?»

Vil: «Cosa? Io? Perché?»

Rose: «Non ti fa bene stare rinchiuso in questo castello. Dovresti venire con me, ti farei conoscere tanta gente simpatica, avrai tanti nuovi amici, potresti essere felice....»

Barone: «Non dire stupidaggini! Forza, torna nel tuo mondo»

Rose: «Ma non capisce che qui Vil è triste!? Sempre da solo, rinchiuso dentro queste mura, senza la possibilità di vedere nessuno! L'unica sua compagna è la musica»

Barone: «E così dovrà rimanere! Sono suo padre, so' cos'è meglio per lui. Tu sei soltanto una ragazzina immatura!»

Rose: «Io sarò pure una ragazzina, ma in questo poco tempo che sono stata in compagnia di suo figlio ho imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo. Vil è un ragazzo magnifico, con tanto amore da donare. Sono sicura che chiunque sarebbe felice di essere suo amico! E chissà, potrebbe anche innamorarsi e..»

«BASTA COSI' ROSE!» tuonò Vil.

Scese un inquietante silenzio nella stanza. Lui si avvicinò alla ragazza e le disse: «Grazie di tutto... addio», dopo di che la spinse verso il portale che si richiuse non appena la ragazza lo trapassò.

Barone: «Hai fatto la cosa giusta figliolo»

Vil: «Padre... ora ho capito perché hai fatto tutto questo, del perché mi hai rinchiuso in questo castello senza possibilità di uscire o di vedere qualcuno. Tu volevi solamente proteggermi...»

Barone: «Andiamo figliolo, la mamma ci sta aspettando per la cena»

Vil: «Però ho incontrato quella ragazza. Una ragazza che non ha paura di me, malgrado il mio aspetto. Una ragazza che ha saputo apprezzarmi per quello che sono, che mi ha fatto conoscere la dolcezza ed il calore di un'altra persona...»

Barone: «Figliolo, basta adesso, la cen...»

Vil: «Una persona speciale! Inizialmente pensavo mi stesse solamente prendendo in giro. Poi col tempo ho abbassato le mie difese e mi sono avvicinato. Mi sono avvicinato troppo... e come Icaro, mi sono scottato»

Barone: «Figliolo... mi dispiace... non volevo che accadesse, avrei dovuto distruggere questo specchio tanto tempo fa»

Vil: «Ora ho questa ustione che mi porto dietro. Fa male. Continua a fare male. Ed è tutta colpa di questo specchio!»

Vil si accanì contro lo specchio dandogli un calcio che lo mandò in frantumi.

Barone: «Ora che ti sei sfogato ti senti meglio?»

Vil: «NO PADRE, NON MI SENTO MEGLIO! Prima vivevo nell'ignoranza, non conoscevo un simile sentimento.... ora invece sì! Io... io...»

Barone: «No! Non dirlo!»

Vil: «IO MI SONO INNAMORATO! Non dovevo, avrei dovuto resistere, ma non ce l'ho fatta. Io provo questo sentimento così forte dentro di me... e so che non potrò mai donarlo alla persona che l'ha scaturito. Non per via dello specchio, se anche fossimo rimasti insieme non sarebbe cambiato nulla. Lei era gentile con me, lei mi considerava solo come un amico. Ma il mio aspetto... IL MIO ASPETTO NON MI PERMETTE DI ESSERE NIENTE DI PIU'! Anzi, devo essere grato di aver trovato qualcuno che non sia fuggito al solo vedermi»

Vil iniziò a ridere nervosamente.

Vil: «Ah.... ahah...ahahaha.....AHAHAHAHAH! È TUTTO FINITO PADRE! FINALMENTE HO CAPITO COSA DEVO FARE!»

Barone: «Vil, di cosa stai parlando? Che cosa hai in mente di fare?»

Vil estrasse un coltello dai pantaloni, dietro la schiena.

Barone: «Vil, fermati... che vuoi fare? Posa quel coltello avanti... parliamone con calma»

Vil: «Cosa c'è da parlare padre? SONO UN MOSTRO!»

Barone: «La tua malattia sicuramente non costituisce un problema troppo grave, troverai anche tu una ragazza che sappia apprezzarti e...»

Vil: «SMETTILA DI ILLUDERMI PADRE! IL MASSIMO CHE POTREI TROVARE SONO DEGLI AMICI, MA A ME QUESTO NON BASTA.... perché è dovuto accadere tutto ciò? Perché sei venuta proprio in questo castello? Perché ti ho incontrata? Perché....»

Barone: «Figliolo... posa quel coltello ed andiamo a parlare con la mamma. Sono sicuro che non vede l'ora di rivederti»

Vil: «È troppo tardi padre... mi dispiace....»

Vil impugnò il coltello con fermezza e se lo puntò dritto al cuore: «Addio padre... saluta la mamma da parte mia»

Barone: «VIL NO!»


*DRRRRRRIIIIIIIIIIN*

«VIL!»

Sono le 8:00, la stanza è semi illuminata dalla luce del sole.

«ROOOOOOSE ALZATI CHE DEVI ANDARE A SCUOLA!»

"È... è stato solo un sogno?"

«ROOOOOOOSE»

Rose: «ARRIVO MAMMA!».
"Beh, anche se è stato solo un sogno, è stata senz'altro un'esperienza interessante.... grazie Vil"

Rose comparve in cucina col sorriso sulle labbra ed esclamò: «Buongiorno a tutti! Ho preso una decisione: voglio imparare a suonare il pianoforte!»

Mamma: «Come mai questa decisione improvvisa tesoro?»

Rose: «Beh, l'idea me l'ha data un sogno che ho fatto questa notte»

Papà: «Oh ma guarda, c'è proprio una notizia ora al telegiornale che parla di un famoso compositore, magari ti può interessare»

TG: «Quella di cui vi parleremo oggi è una di quelle scoperte straordinarie! Ci troviamo qui nei pressi della residenza Solovyov perché sono stati ritrovati dei reperti sensazionali! Ma procediamo con ordine: per chi non lo sapesse, i Solovyov furono una ricca famiglia del secolo scorso. Il loro unico erede è il Vil Solovyov che tutti noi conosciamo e che abbiamo imparato ad amare grazie alle sue numerose composizioni. Purtroppo morì alla giovanissima età di 25 anni, in circostanze ancora più tragiche. Infatti il giovane compositore si suicidò, pugnalandosi al cuore. Il corpo venne ritrovato però insieme ad altri due corpi, probabilmente quelli dei genitori, abbracciati al suo ed anch'essi con un pugnale piantato nel cuore. Cosa avrà spinto questa famiglia a compiere questo insano gesto? Forse dalla malattia di Vil. Sì, perché il giovane compositore aveva una rara malattia che intacca la pelle e porta a deformarla pesantemente, rendendo l'individuo un autentico mostro! Ecco perché veniva chiamato 'Il mostro del Piano', non solo per la sua bravura evidentemente. I nostri esperti pensano che il ragazzo si sia suicidato perché non poteva più sostenere quella situazione e che i genitori l'avrebbero poi seguito per il dolore di aver perso il loro unico figlio. Ma riprendiamo la notizia: proprio oggi sono stati ritrovati dei reperti dal valore inestimabile: una lettera ed uno spartito! Vi leggiamo la lettera:

"Nel mio giardino è finalmente spuntata una Rosa in mezzo a tante erbacce. Era bellissima. Sapevo che non dovevo avvicinarmici, ma la sua bellezza non poteva tenermi lontano.... ed infatti mi sono avvicinato troppo, inesorabilmente, fino a pungermi. Quella Rosa ha lasciato il segno.
Vil Solovyov"

Non sappiamo bene a cosa si riferisse il giovane compositore. Ed ora passiamo il collegamento all'auditorium, dove due dei nostri migliori pianisti sono pronti ad eseguire lo spartito che hanno rinvenuto i nostri ricercatori!»

"Non... non è possibile...", pensò Rose.

TG: «Siamo qui all'auditorium dove siamo pronti ad ascoltare il brano che si intitola 'Il dolore della Rosa', l'ultimo, si presume, brano del noto compositore Vil Solovyov! Buon ascolto»

Non appena il brano iniziò, Rose riconobbe quella melodia ed una lacrima scese lungo il suo viso.